Skip to main content

SPECIALE PESACH 5784

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati

    "La consapevolezza della nostra forza: 25 anni dal presidio nel tribunale militare contro Priebke"

    “Nella notte fra il primo e il due agosto di 25 anni fa, solamente grazie al coraggio e alla determinazione di tanti membri ella nostra Comunità che rimasero a presidiare il tribunale militare di Roma anche di notte, fu possibile evitare la scarcerazione e la fuga dall’Italia del boia delle Fosse Ardeatine Erich Priebke”. Con queste parole la Presidente CER, Ruth Dureghello, ha voluto ricordare un evento entrato nella memoria collettiva degli ebrei romani: il processo al boia delle fosse ardeatine. Estradato dall’Argentina all’insediarsi del primo governo Berlusconi, Priebke venne portato al tribunale militare di Roma per rispondere dei “crimini di guerra e contro l’umanità” commessi nella sua carriera da ufficiale. Un fatto stravolgente, se si considera che un nazista come Herbert Kappler venne fatto fuggire dal Celio col presunto favoreggiamento dell’Italia. Il processo, però, prese sin dall’inizio una piega negativa, perché non fu permesso né ai parenti delle vittime né ad altre cariche comunitarie di prendere posto in aula. Solo la Presidente dell’UCEI, Tullia Zevi, venne fatta entrare. La tensione era palpabile e raggiunse il suo apice quando i giudici, uscendo dalla stanza, sciolsero le accuse nei confronti del boia. Riccardo Pacifici, all’epoca il più giovane Consigliere della Comunità Ebraica romana, ci ha raccontato: “Misero un televisore esterno all’aula per seguire il processo, credevano bastasse. Manifestammo perché era inaccettabile, almeno i parenti delle vittime dovevano essere presenti. Tuttavia, ciò non fu permesso e poi, verso le 17, arrivò la sentenza. Assolto. Piccolo retroscena: l’MCSE (Movimento Culturale Studenti Ebrei) si era organizzato con due striscioni, uno in caso di esito favorevole, un altro se negativo. A quel punto si accese la manifestazione. Il paese nel frattempo cambiò, perché si unì allo sdegnò: il Parlamento fece un minuto di silenzio, il sindaco Rutelli fece spegnere le luci di Roma, arrivarono i giornalisti che iniziarono le dirette per raccontare l’ignobile sentenza. Sapevamo che la sera stessa c’era un volo Alitalia diretto in Argentina, se Priebke avesse lasciato l’aula sarebbe certamente fuggito. Tullia Zevi ed il Consiglio CER fecero una sessione straordinaria in cu decisero di deporre dei fiori alle fosse ardeatine. A quel punto iniziò la formale richiesta di presidiare il tribunale, ci asserragliammo dentro alla struttura, ebrei e non ebrei. Chiedemmo formalmente di non andare via se non con l’arrivo del Presidente della Repubblica: eravamo davvero inferociti, perché erano tempi difficili e nessun esisto era scontato”. La manifestazione ebbe un’escalation di tensione, Priebke fu chiuso all’interno di una stanza sotto la scorta delle forze dell’ordine ed il controllo periodico di una ragazza ebrea col compito di verificarne la presenza ed evitare la sua fuga. Addirittura, i vigili del fuoco ipotizzarono una sua estrazione attraverso la finestra, che non ebbe però seguito. Il tribunale divenne il centro del mondo, tutte le televisioni ne parlarono ed arrivarono esponenti della politica e semplici cittadini antifascisti. Tutti insieme, in quanto italiani, sotto la guida della comunità ebraica orgogliosa e pronta a non permettere che quei morti potessero essere uccisi di nuovo. “Nonostante tutto, ci fu l’ordine di non colpire assolutamente i carabinieri, perché noi non eravamo contro di loro. Anzi, ricordai loro che anche i carabinieri erano morti alle fosse ardeatine” – continua Pacifici – Il giudice poi dispose uno sgombro coatto, bisognava allora trovare una soluzione. Entrai con lui in un’aula insieme alla Senatrice Carla Rocchi. Il giudice mi spiegò la situazione, ma gli risposi che solo il rabbino Toaff potesse darmi ordini. In quel momento ci fu un miracolo, perché all’epoca in pochi avevano un telefono ed io, pur avendolo, non avevo il caricatore. Tuttavia, mi durò finché non tornai a casa. Lo chiamammo insieme e misi il vivavoce. ‘Vi sto seguendo dalla televisione, rimanete al vostro posto’, ci disse. Il giudice divenne bianco pallido, non se lo aspettava, ma Toaff veniva dalla resistenza e certi principi per lui erano imprescindibili. Noi eravamo figli della shoah che avevano visto scappare Kappler, nessuno di noi avrebbe potuto vivere in pace lasciando quell’aula”. I media furono unanimi nel sostenere che non bisognava lasciare soli gli ebrei a difendere l’onore dell’Italia. Solo dopo la mezzanotte venne il Ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Maria Flick, con la soluzione che prevedeva un nuovo arresto per dare seguito ad una richiesta d’estradizione dalla Germania per altri crimini. Fu un successo, il boia delle fosse ardeatine non uscì impunito dall’aula e “quel giorno – conclude Pacifici – la nostra comunità cambiò radicalmente: acquisimmo la consapevolezza della nostra forza e del nostro ruolo”.

    CONDIVIDI SU: