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    L’attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre ’82: Le indagini, il processo e la riapertura del caso. “Un difficile cammino verso la verità”

    Gli avvocati Cesare Del Monte e Joseph Di Porto hanno studiato pagine e pagine di documenti sull’attentato alla Sinagoga di Roma. Prima per verificare, per conto della Comunità Ebraica di Roma, se fosse ancora valido il mandato di estradizione di Abdel Al Zomar, l’unico terrorista identificato e condannato in contumacia per l’attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nel 9 ottobre ’82. Poi per comprendere una storia intricata, fatta di indagini, testimonianze, un processo e un percorso, che non ha mai portato alla verità e alla giustizia, disseminato di rivoli. Shalom ha chiesto a Del Monte e Di Porto di ricostruire gli eventi,dalle indagini alla vicenda processuale, sino alla riapertura del caso. 

     

    Come è stato individuato Al Zomar e che ruolo ha avuto nell’attacco terroristico?

    Le indagini, attraverso i rilievi tecnici e fotografici sullo stato dei luoghi e l’ascolto dei feriti e dei testimoni oculari non diedero alcun risultato significativo e risentirono della mancanza delle forze dell’ordine non solo davanti alla Sinagoga ma anche in tutta la zona circostante che permise ai terroristi di compiere il loro gesto criminoso senza trovare alcun ostacolo e darsi liberamente alla fuga. La svolta ci fu con l’arresto in data 20 novembre 1982 da parte delle autorità greche del giordano Osama Abdel Al Zomar, residente da alcuni anni in Italia (prima a Perugia ed infine a Bari) il quale, venne fermato su un traghetto al confine tra la Turchia e la Grecia e diretto in Italia, dove viaggiava con la propria Mercedes targata Bari all’interno della quale vennero rinvenuti circa 60 kg di esplosivo, 5 detonatori e 3 metri di miccia.

    Le autorità italiane – che ancora non sapevano del coinvolgimento di Al Zomar nell’attentato alla Sinagoga – ascoltarono la sua fidanzata, che rivelò i motivi del viaggio di Al Zomar ed il suo diretto coinvolgimento nell’attentato al Tempio, specificando che il fidanzato, militante dell’OLP e già presidente del GUPS (General Union of Palestine Students), con il quale aveva avuto una discussione proprio la sera del 9 ottobre vedendo le immagini dell’attentato ai telegiornali, le aveva confidato che l’attentato era stato eseguito da due persone non residenti in Italia sotto la diretta direzione dell’OLP, da lui istruiti su tempi e modalità di esecuzione avendo svolto diversi sopralluoghi davanti la Sinagoga a fine settembre.

     

    Che peso hanno avuto le varie testimonianze del processo?

    Molte delle dichiarazioni rese dalla ex fidanzata di Al Zomar – confermate nella fase dibattimentale – trovarono riscontro in una pluralità di altri elementi investigativi, tra i quali il ritrovamento di un verbale di contestazione per violazione del codice della strada  del 27 settembre 1982 che confermò la presenza di Al Zomar a Roma nei giorni precedenti l’attentato, la testimonianza di un portiere di uno stabile in Via del Tempio, il quale riferì di aver visto nella seconda metà di settembre nella stessa via una Mercedes modello vecchio targata Bari e di aver riconosciuto nelle foto di Al Zomar un giovane che si aggirava assieme ad atre persone nei pressi della Sinagoga, ed infine, dalle testimonianze di alcuni addetti alla sicurezza della Comunità che nei giorni precedenti l’attentato videro diversi mediorientali aggirarsi attorno alla Sinagoga, due dei quali vennero fatti fermare dai carabinieri nei pressi di Monte Caprino in data 20 settembre 1982 e successivamente rivisti il 4 ottobre in Via Arenula all’altezza dei giardini di Piazza Cairoli.

    Anche l’indicazione del numero degli esecutori della strage corrisponde a quanto constatato sulla scorta delle testimonianze e delle verifiche balistiche che accertarono che i 32 colpi sparati provenivano da due distinte pistole mitragliatrici e che le cinque bombe vennero lanciate da due individui, seppur si ritiene che il commando fosse composto da almeno altri due soggetti, probabilmente con la funzione di copertura dei primi.

     

    Quando è iniziato il processo e come si è svolto?

    La fase dibattimentale si aprì davanti alla V Sez. della Corte d’Assise di Roma solamente il 18 marzo del 1989 al termine della fase istruttoria, rallentata dal rifiuto delle autorità elleniche di estradare Al Zomar che ne impedirono l’interrogatorio, si concluse con l’Ordinanza di rinvio a giudizio emessa dal Giudice istruttore Luigi Gennaro in data 15 giugno 1988.

    La Sentenza della Corte d’Assise, presieduta da Francesco Amato, con la quale Al Zomar venne riconosciuto responsabile dell’attentato alla Sinagoga di Roma e condannato all’ergastolo, venne pronunciata il 23 maggio 1989 e divenne irrevocabile per inammissibilità del proposto appello in data 11 maggio 1990.

    Nonostante le rivelazioni della ex compagna di Al Zomar sul coinvolgimento dell’OLP nell’attentato di Roma, nelle motivazioni della Sentenza della Corte d’Assise si legge che: “La strage davanti alla Sinagoga romana è un episodio della campagna terroristica scatenata da una organizzazione politico-militare contro le comunità ebraiche europee e contro i rappresentanti moderati dell’OLP…. Si è indicata tale organizzazione in quella denominata “Al Asifa” facente capo a Sabri Al Bann, più conosciuto come Abu Nidal”.

    Da questo passaggio della sentenza emerge con tutta chiarezza quale era il clima ideologico di quegli anni, si mettevano sullo stesso piano le vere vittime degli attentati, i fedeli ebrei all’uscita di una Sinagoga o all’interno di un ristorante, con le presunte lotte intestine tra gruppi palestinesi, senza considerare che l’OLP non era altro che l’ombrello sotto al quale si riparavano ed agivano le diverse organizzazioni terroristiche palestinesi, ivi inclusa quella di Abu Nidal, perseguendo un medesimo disegno criminoso, quello della distruzione dello Stato d’Israele e dell’uccisione indiscriminata degli ebrei ovunque risiedessero, in Israele così come in Europa.

     

    Cosa sappiamo degli altri responsabili oltre ad Al Zomar?

    Praticamente nulla. Nelle indagini che hanno preceduto l’unico processo sin qui celebrato, sono comparsi numerosi soggetti che avrebbero meritato una maggiore attenzione ma che non sono stati indagati in maniera approfondita. Alcuni di questi risultavano essere legati al FPLP, altri al GUPS, altri ancora avevano radicati legami con il gruppo di Abu Nidal, e uno di questi, Al AwadYousif con il quale Al Zomar partì da Bari il 20 ottobre 1982, si rese responsabile in Portogallo – ad aprile del 1983 – dell’omicidio di un dirigente palestinese ritenuto troppo moderato. Forse, all’epoca, tutti questi soggetti, così come la presenza di almeno un soggetto dai tratti somatici occidentali tra gli esecutori dell’attentato, avrebbero meritato maggiore approfondimento investigativo.

     

    Quali passi, dopo il processo, sono stati fatti per identificare gli altri responsabili?

    Dopo la sentenza di primo grado, confermata in appello, non furono svolte altre indagini o, almeno, allo stato non risulta che siano state effettuate.

    Nel 2020 il nuovo procuratore della Repubblica di Roma, il Dott. Michele Prestipino Giarritta, dispose la riapertura delle indagini relative ad alcuni coldcases e, fra questi, anche di quelle relative l’attentato di Roma del 9 ottobre. Ci risulta essere stata la prima volta che si è tornato ad indagare per identificare i complici dell’Al Zomar.

     

    Dopo le rivelazioni di febbraio scorso, il Copasir ha aperto un’indagine conoscitiva e la procura di Roma un nuovo fascicolo d’inchiesta. Mentre una svolta alle indagini potrebbe arrivare da Parigi. Dopo 40 anni, da un punto di vista giudiziario, credete ci sia la speranza di avere giustizia?

    Occorre distinguere l’oggetto delle indagini della procura da quelle del Copasir. Le prime sono finalizzate, come detto, all’individuazione degli altri componenti del commando che colpì a Roma e/o degli eventuali complici nell’organizzazione e nella pianificazione dell’attentato. Quelle del Copasir, invece, riguardano eventuali complicità politiche e la valutazione dell’efficienza dei mezzi di prevenzione adottate all’epoca dal Ministero e dalle Forze dell’Ordine.

    Per quanto riguarda le indagini del Copasir va detto che anche dagli atti del processo emergono molti spunti di riflessione.

    Ad esempio si è sostenuto, sia in sede parlamentare, a pochi giorni dall’attentato, sia nelle relazioni di servizio degli investigatori inviate al Giudice Istruttore, che l’Unione delle Comunità Israelitiche non aveva richiesto per la data del 9 ottobre alcuna cautela ulteriore. Questo, però, contrasta con quanto si legge nella comunicazione ufficiale inviata dall’UCII nell’agosto del 1982 ove era indicata specificamente anche quella data. A fronte di questo, risulta molto difficile spiegare le ragioni dell’assenza dell’auto delle Forze dell’Ordine quel giorno innanzi al Tempio. E ancora più difficile risulta comprendere perché, anche dopo l’attentato si è continuato ad affermare che non vi era stata la segnalazione.

    Questo elemento non può non esser letto unitamente alle 17 segnalazioni – inspiegabilmente secretate – che dal 18 giugno al 2 ottobre del 1982, i Servizi avevano inviato agli organi di Polizia e al Ministero degli Interni di “possibili attentati a obiettivi israeliani o ebraici in Europa”. Tra queste, quella del 25 settembre, dove l’allora direttore del Sisde, Prefetto Emanuele De Francesco, scriveva “Fonte abitualmente attendibile ha riferito che organizzazione di Abu Nidal intenderebbe compiere simultaneamente attentati contro obiettivi sionisti in Belgio, Francia e Italia, prima durante o subito dopo lo Yom Kippur” indicando tra i probabili obiettivi proprio la Sinagoga di Roma.

    Per quanto riguarda le notizie provenienti da Parigi, la Procura di Roma è molto cauta e, a detta del PM designato per le indagini, non sono molto utili. Sembrerebbe, anzi, che gli Inquirenti parigini più che offrire informazioni ne chiedano. Questo, va detto, comprime di molto le speranze che si riapra il processo e che si arrivi all’individuazione ed alla condanna dei complici. Tuttavia, bisogna mantenere viva la speranza e continuare a supportare la Procura nel difficile compito di arrivare alla verità 40 anni dopo gli eventi.

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