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SPECIALE PESACH 5784

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    Novembre 1938, quando i militari ebrei non furono più militari

    Il 4 novembre 1921 venne tumulato a Roma, nel monumento a Vittorio Emanuele II, il corpo del milite ignoto. La cerimonia romana fu soltanto l’apice di una cerimonia cominciata il 28 ottobre, con la partenza da Aquileia della salma di un soldato sconosciuto. Il treno speciale fu salutato in ogni stazione da folle immense, che resero omaggio al sacrificio dei soldati italiani con fiori e bandiere. Il fascismo fece di tutto per appropriarsi del Milite ignoto, trasformando un mito popolare e unificante, come suo solito, in un’immagine fortemente divisiva. I fascisti si appropriarono non solo della vittoria nella guerra, ma anche e soprattutto del sacrificio delle centinaia di migliaia di morti. Il fascismo riscrisse la storia della guerra facendone il primo atto dell’avvento del regime, “espellendo” i tantissimi democratici e liberali che avevano dato il loro contributo. L’esclusione degli “altri” continuò anche fino alla fine degli anni Trenta.

    Le leggi antiebraiche del 1938 non poterono non colpire anche i militari di carriera. La rozza propaganda razzista faceva degli ebrei dei codardi che non sapevano e non volevano imbracciare le armi. La presenza dei molti ufficiali nei ranghi delle forze armate (moltissimi dei quali decorati) non poteva quindi essere tollerata. Il decreto del dicembre 1938, riguardante proprio i militari, costrinse al congedo 25 generali, 392 ufficiali in servizio e altre migliaia tra ufficiali e sottufficiali nei ranghi della riserva. 

    Un documento della polizia politica rivela la rabbia degli ufficiali ebrei.  Un ufficiale, ascoltato da una spia fascista, così espresse tutto il suo disgusto per la politica fascista: “Ho servito durante 27 anni il Re d’Italia; ho combattuto per Lui guadagnandomi due medaglie d’argento e due Croci di guerra. Ci volevano questi banditi ed in gran parte ex imboscati, dopo 16 anni di governo, per dichiararmi indegno di servire la mia Patria ed il mio Sovrano.” Il riferimento agli ex imboscati era chiarissimo, si trattava dei molti gerarchi fascisti che erano riusciti ad evitare ogni servizio al fronte durante la Grande guerra e si erano rinchiusi in compiacenti uffici ben al riparo dalle pallottole austriache, e adesso si permettevano di concionare sull’antipatriottismo degli ebrei. La cacciata degli ebrei dalle forze armate è uno degli aspetti meno conosciuti della persecuzione, ma forse è il più clamoroso. Migliaia di italiani che avevano combattuto (e alcuni ancora stavano combattendo in Spagna), “per il Re e per la Patria” furono cacciati senza alcun altro motivo che la loro identità religiosa. Almeno cinque ufficiali non si limitarono alle parole, ma si suicidarono per il dolore, come il colonnello Morpurgo, che stava combattendo in Spagna e, quando seppe della legge, si lanciò in una azione suicida, trovando la morte.

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