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    Parashà di Haazìnu. Ogni parola nella Torà è rilevante

    La parashà di Haazìnu fa parte dell’ultimo discorso di Moshè al popolo. In essa egli esorta Israele con queste parole: “Prendete a cuore tutte le parole che io affermo a voi oggi, in modo che possiate insegnare ai vostri figli a mettere in pratica meticolosamente (lishmòr la’asòt) tutte le parole di questa legge. Infatti non è per voi cosa vuota di contenuto. Ma è la vostra vita e per esse prolungherete i vostri giorni nel paese del quale andate a prender possesso passando il Giordano” (Devarìm, 32: 46-47).

    R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) in Ha’amèk Davàr, spiega che dalla parola “lishmòr” impariamo che bisogna “ricordare gli insegnamenti di Moshè” e dalla parola “la’asòt” impariamo che bisogna “essere precisi nella  comprensione di tutte le parole della Torà”. Per Israele la Torà non è un “insegnamento vuoto”, cioè uno studio superficiale come fanno le nazioni del mondo. Per Israele la Torà va studiata con grande precisione cercando di capire il significato di ogni parola e il motivo per cui è stata scritta in un modo e non in un altro.

    Nel Midràsh Sifrì (ibid., 46) a questa parashà, citato da Rashì (Troyes, 1040-1105), i maestri insegnano che nella Torà non vi è nulla di vuoto, cioè nulla di insignificante. E citano i maestri nel Talmud babilonese (Sanhedrin, 99) che dissero che le parole “Timna’ era sorella di Lotàn”(Bereshìt, 36:22)  e “Timna’ era concubina di Elifaz”(ibid., 36:12) sono significative perché da esse si impara che i regnanti dell’epoca desideravano associarsi alla famiglia di Avraham (infatti Elifaz era figlio di Esaù). E questo è dimostrato dal fatto che Timna’ era una principessa della famiglia di Se’ir (ibid., 36:22).

    Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nella Guida dei Perplessi (III, cap. 50) si dilunga nel spiegare “che tutti i racconti menzionati nella Torà sono necessari”. Tra questi anche che “Timna’ era sorella di Lotàn”.

    R. Moshè Feinstein (Belarus, 1895-1986, New York) in Daràsh Moshè (p. 336 ed. Inglese) spiega la rilevanza del fatto che i regnanti pagani fossero desiderosi di associarsi con la famiglia di Avraham. Questi versetti, apparentemente insignificanti, contengono un importante insegnamento: non dobbiamo pensare che le nostre azioni non abbiano effetto nei confronti di coloro per i quali la Torà non ha importanza. Il caso di Timna’ dimostra che se ci rivolgiamo a costoro con gentilezza e comprensione e diamo esempio di comportamento onesto e retto, anche persone del genere possono trovare l’ispirazione a cambiare strada. E lo vediamo dal fatto che anche i regnanti di quell’epoca che adoravano gli idoli, ammiravano Avraham e riconoscevano che il suo modo di vivere era superiore al loro.

    La lettura della parashà di Haazìnu capita frequentemente nello shabbàt tra Rosh Hashanà e Kippur. Questoshabbàt è chiamato “il sabato della teshuvà”.

    R. Moshè ben Avraham Mett (Przemyśl, 1540?- 1606, Opatow) nella sua opera halakhica Mattè Moshè scrive: “In questo sabato è tradizione tenere una derashà per sollecitare il pubblico a fare teshuvà. E ho trovato un supporto a questa usanza nel Midràsh Mishlè (Midràsh dei Proverbi) dove è scritto: «Disse il Santo Benedetto: quando il chakhàm tiene la derashà, perdono ed espio i peccati d’Israele».

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