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    Parashà di Vaigàsh. Prima il faraone, poi il sultano

    Quando Yosef si rivelò ai fratelli, la notizia si diffuse con grande velocità: “La voce della presenza dei fratelli di Yosef arrivò al palazzo del faraone. La cosa fece piacere al faraone e ai suoi consiglieri” (Bereshìt, 45:16). Per quale motivo l’arrivo dei fratelli di Yosef fece piacere al faraone e ai suoi consiglieri? I commentatori offrono varie spiegazioni.

    Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) commenta che sia per il faraone che per i dignitari del regno era imbarazzante aver dovuto affidare la conduzione del paese in stato di emergenza a uno schiavo straniero e per di più, un avanzo di galera, tirato fuori dalla prigione. Ora invece non poterono nascondere la loro felicità, quando vennero a sapere  che Yosef apparteneva a una famiglia nobile e che quindi era una persona degna di presentarsi alla corte reale.  

    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Bereshìt, p. 335), dopo aver citato il Nachmanide, aggiunse che apparentemente la rinomanza di Avrahàm, noto come “Nassì E-lohìm”, principe di Dio (Bereshìt, 23:6), si era diffusa in tutto il Medio Oriente e il faraone era lieto di sapere che il suo Gran Visir era nipote di Avrahàm.

    R. Shimshòn Rafael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) commenta che anche i ministri del faraone erano lieti perché ora i legami famigliari di Yosef lo avrebbero fatto risiedere in modo permanente nel paese. Il fatto che i più alti dignitari dello stato non fossero invidiosi di Yosef è una testimonianza dell’eccellente carattere di Yosef.

    R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Belare, 1816-1893, Varsavia) in Ha’amèk Davàr (Bereshìt, p. 452) scrive: “[Nella Torà ] non è spiegato a cosa era dovuta questa felicità per l’arrivo dei fratelli di Yosef. Apparentemente, il faraone e i suoi consiglieri pensarono che i fratelli erano d’intelligenza simile a quella di Yosef e sarebbero stati utili al paese così come lo era Yosef.

    R. Soloveitchik  esprime un concetto simile: “Vi era un altro motivo per il quale il faraone mostrò interesse nella famiglia di Yosef. Il faraone sapeva che le doti di Yosef erano cosa assai rara: genio organizzativo, abile pianificatore e manager, uomo di visione con grande immaginazione creativa. Il faraone era convinto che la famiglia nella quale era nato un così grand’uomo doveva avere altre persone dotate di talento. Egli voleva quindi che i fratelli di Yosef venissero a fare parte della società egiziana per contribuirne alla crescita e sviluppo”. Nella parashà precedente (Mesoras Harav, p. 300), R. Soloveitchik aveva commentato che il faraone stesso doveva essere un uomo di visione, altrimenti non avrebbe mai nominato Yosef alla guida dell’economia dell’Egitto. Egli preferì l’interpretazione del sogno che gli diede Yosef a quella dei suoi indovini, per il puro motivo soggettivo che sia lui che Yosef erano uomini di visione.  

    Seguendo l’affermazione del Nachmanide che i racconti dei patriarchi sono indicazioni di quello che sarebbe accaduto in futuro ai figli d’Israele, l’accoglienza data dal faraone a Yosef e alla sua famiglia venne ripetuta, in diverse circostanze, dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna quando il sultano invitò i rifugiati a stabilirsi nell’impero ottomano. Nel 1492,  la popolazione di Costantinopoli era scesa a 70.000 abitanti a causa della peste nera e degli assedi della città durante le Crociate. L’arrivo dei rifugiati contribuì in modo sostanziale al ripopolamento della città. Gli ebrei si stabilirono nelle città più ricche dell’impero, così com’era avvenuto in Egitto con il faraone,  e arricchirono l’impero ottomano con il loro ingegno e con le loro attività economiche.

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