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    Addio a Simcha Kazik Rotem, eroe del Ghetto di Varsavia

    Israele ha reso omaggio a Simcha Rotem (Ratajzer), l’ultimo sopravvissuto dei combattenti nella Rivolta del Ghetto di Varsavia del 1943, morto venerdì a 94 anni. Il giovane ebreo polacco che con il nome di battaglia ‘Kazik’ si oppose armi alla mano, insieme ad altri, alla schiacciante e barbara superiorità nazista, è stato una leggenda vivente. 

    Simcha Kazik era una leggenda vivente per un paese, come Israele, nato dalle ceneri della Shoah e formatosi dando accoglienza ai tanti sopravvissutine scampati. Non a caso in Israele – a differenza del resto del mondo – il Giorno della Memoria si celebra non il 27 gennaio (data della liberazione di Auschwitz), ma nella ricorrenza dell’insurrezione nel Ghetto della capitale polacca, il 19 aprile 1943. 

    Rotem era nato a Varsavia nel 1924 e già da adolescente era attivo nel Movimento giovanile sionista. Aveva 15 anni quando la Germania nel 1939 invase la Polonia dando inizio alla Seconda Guerra mondiale. Nel 1942, a 18 anni, Rotem si unì all’Organizzazione ebraica di combattimento del Ghetto di Varsavia (Zob) guidata da Mordechaj Anielewicz e Marek Edelman. impegnata nella resistenza armata contro i nazisti. L’anno dopo, i tedeschi diedero inizio all’attacco finale per svuotare il Ghetto dei suoi ultimi 70mila residenti. La Rivolta divampò alle 6 del mattino del 19 aprile durante Pesach, la Pasqua ebraica, e durò fino al 16 maggio. Meglio morire – raccontò Rotem – che finire nelle camere a gas di Treblinka dove i nazisti avevano inviato già 300mila ebrei. Per poco meno di un mese Zob si battè disperatamente, a prezzo di sacrifici inauditi, contro le preponderanti forza tedesche per infine cedere. Poi cominciarono i rastrellamenti nazisti, ma Rotem riuscì a sopravvivere. “Seduto sulle rovine del Ghetto – raccontò più tardi – ho immaginato di essere l’ultimo ebreo, forse in tutta Varsavia”. Il giovane non abbandonò però la lotta continuando a combattere, insieme alla Resistenza polacca, fino alla liberazione del paese. Nel 1946 emigrò in Israele e partecipò alla nascita dello stato combattendo nell’Haganah, l’esercito ebraico. Per anni, dopo, è stato un tranquillo manager di una catena di supermarket, onorato da tutti per il suo passato e il suo presente ma senza mai dimenticare i suoi compagni uccisi a Varsavia. Rotem è stato un testimone d’eccezione pronto a difendere la memoria: lo scorso aprile in occasione dei 75 anni della Rivolta del Ghetto in una memorabile lettera ha criticato aspramente il presidente polacco Andrzej Duda per quello che definì la mancata volontà di riconoscere le responsabilità di alcuni polacchi nello sterminio ebraico. “Il mio nome – cominciava la lettera – è Simcha (Kazik) Rotem, un fiero ebreo e uno dei combattenti della Rivolta del Ghetto di Varsavia sopravvissuto all’inferno…”. Il premier Benyamin Netanyahu lo ha salutato come un eroe e il presidente Reuven Rivlin ha ricordato le sue parole di non dimenticare mai di “essere esseri umani”. Yad Vashem, il Museo della Shoah a Gerusalemme – e Rotem faceva parte della Commissione che individua i Giusti tra le Nazioni – ha sottolineato che “oggi si è persa una voce importante”.

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