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    A colloquio con Safran Foer. Salvare il mondo prima di cena

    Martedì 10 settembre, Torino, Cavallerizza reale. Più di 400 persone aspettano in fila indiana davanti all’ingresso in attesa di Jonathan Safran Foer, autore del libro Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi, Guanda. Periodo caldo per i media, tutti intenti a darci notizia di cosa accade lì fuori: non solo in Siberia, Amazzonia e Antartide ma anche in Francia, con i suoi 44° C raggiunti a luglio, e in America con le scellerate esternazioni di Trump. È cosa nota che Safran Foer abbia da tanti anni a cuore le tematiche ambientali e questa nuova pubblicazione non è che la conferma. Ad introdurre il libro e a conversare con l’autore è stato Paolo Giordano tra dati scientifici e un po’ di spirito. Vicino a lui, lì a rispondere c’era un Foer molto ironico e molto americano. Esattamente quello che mi aspettavo di trovare. 

    La difesa dell’ambiente e la sua salvaguardia è un tema che riguarda noi tutti, come singoli, membri di comunità diverse, ed ebrei. Questo Foer l’ha fatto proprio e lo ringrazio per essere diventato il megafono di tante piccole voci. In ogni sua parola ho notato un riferimento anche celato, anche non voluto all’ebraismo. 

    Tu BiShvat, il capodanno degli alberi, è il compendio di una sensibilità che ci spinge a mangiare, laddove possibile, almeno 26 frutti associati alla terra di Israele e a piantare qui e lì una grande quantità di alberi. Questo per rendere nuovamente rigoglioso un paesaggio che in epoca biblica era descritto stillante latte e miele

    Parafrasando l’autore potremmo dire che i sentimenti e le intenzioni sono importanti ma non sufficienti. I nostri trisnipoti ci ringrazieranno infatti non per i nostri buoni propositi ma per le nostre azioni; a loro non importerà ciò che abbiamo detto, ma ciò che abbiamo fatto. E il pensiero che da qui a 60 anni gli animali che oggi compaiono sui libri per bambini possano non esistere più mi avvilisce. La natura va tutelata per mille e uno motivi: perché è bella e tutti – eccetto una piccola dose di cinici amanti dell’orrido – hanno a cuore la meraviglia; perché è la nostra dimora e dubito che qualcuno gradisca abitare in una casa poco accogliente, in cui le tubature del bagno si rompono ogni due per tre e dove neanche il condizionatore riesce a contrastare il caldo torrido dell’estate.

    Mi è stato obiettato poco tempo fa che la natura di per sé non ha né senso né diritti, come tutte le altre cose d’altronde, ho ribattuto. Dubito che questa critica abbia senso: ha più l’aria di essere un esercizio dialettico che una critica fondata. Perché può pure essere vero che nulla ha senso – e in quel caso neppure la vita, alzarsi presto la mattina per andare al lavoro lo avrebbero, eppure il mondo è pieno di gente che fa figli e si sveglia alle cinque per portare a casa un po’ di pane – ma è altrettanto vero che siamo noi ad attribuire valore alle cose, e se non lo facciamo è un problema. La natura però, se consideriamo la mobilitazione avvenuta recentemente in molti paesi, sembra avere molto valore. 

    Foer ha ricordato che gli allevamenti animali hanno un impatto devastante sul nostro ecosistema. Solo questo genere di industria produce la più grande quantità di metano e protossido di azoto al mondo. Il primo è circa 34 volte “più responsabile” rispetto alla pur cattivissima CO2 quando si parla di riscaldamento globale, il secondo circa 310 volte. Cosa decidereste di tagliare se foste sull’orlo della bancarotta? La casa extralusso da un milione di euro o l’abbonamento al teatro regio di Torino di 300 euro l’anno? Le priorità, per definizione, hanno sempre la precedenza, quando il tempo è poco rimangono gli unici fattori da considerare. 

    Qui arriva il terzo punto, quello più ebraico e più individuale, che si collega indirettamente alla prima parte del titolo Possiamo salvare il mondo prima di cena. Ciò che Safran Foer propone è di dimezzare i consumi di carne, mangiandone solo a cena. Sarebbe più sano e indubbiamente più economico, aggiunge. E chissà se riducendo l’assunzione di carne diventerà per alcuni naturale eliminarla del tutto dalla dieta. Ai più scettici, che vedono nel vegetarianismo ideologia e ed estremismo, Foer risponde che una riduzione del 50% non è estremo né ideologico, solo etico. A questo genere di pubblico Foer si appella: a chi è in grado di cambiare un po’ le proprie abitudini senza stravolgerle. Questo piccolo cambiamento assume valore aggiunto perché è risaputo che non c’è niente di meglio di qualche limite autoimposto per apprezzare maggiormente ciò che abbiamo. 

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