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    Come al solito su Israele due pesi e due misure. Si condanna lo Stato ebraico e si ignorano le minacce mortali dell’Iran

    Una lettera di settanta parlamentari al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – prima firmataria Laura Boldrini –  non chiede di rispettare il voto del Parlamento europeo e della Camera dei Deputati, che chiese al Governo di accogliere la definizione IHRA di antisemitismo, come ha fatto il mondo civile.

    Chiede, invece, di condannare Israele perché vorrebbe includere nella propria giurisdizione alcuni insediamenti ebraici in Cisgiordania, detta anche West Bank oppure Giudea e Samaria.

    L’ebraismo italiano, malgrado il sanguinoso attentato subito nel 1982, ripose grandi speranze negli Accordi intervenuti fra Israele e l’OLP, in quanto consentivano di confidare in una fine del conflitto arabo israeliano.

    Quella speranza andò delusa, in seguito al rifiuto delle proposte di pace presentate da Ehud Barak a Yasser Arafat e da Ehud Olmert a Mahmoud Abbas.

    Prima della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, Gaza faceva parte dell’Egitto e la West Bank della Giordania. Nessuna organizzazione palestinese aveva mai chiesto di costituire uno Stato palestinese negli attuali territori contesi, perché quei territori ricadevano nella giurisdizione giordana ed egiziana. La ‘liberazione’ poteva, quindi, riguardare il solo territorio d’Israele.

    Dopo 53 anni dalla Guerra dei Sei Giorni, e dopo che Israele ha fatto la pace con la Giordania e con l’Egitto, restituendo la maggior parte dei territori rimasti in mano israeliana dopo tale conflitto, ed alla luce del fallimento del processo di Oslo, dovuto sia ai molteplici rifiuti che ad una costante violenza, appare evidente che il quadro non può rimanere stagnante per sempre.

    Ciò posto, le Comunità Ebraiche italiane non sono partiti politici, ed essendo  strutture democratiche, ospitano al loro interno tutte le posizioni politiche possibili, anche sul conflitto arabo-palestinese. Il che non significa che siano indifferenti alle sorti dei sei milioni di ebrei israeliani, perché sarebbe come dire che, ad esempio, le Comunità Ebraiche americane, potessero assistere nella massima indifferenza al massacro degli ebrei europei per mano nazifascista. Rivendichiamo pertanto il diritto dello Stato ebraico all’autodeterminazione ed alla sua incolumità.

    Quegli insediamenti ebraici che Israele vorrebbe far rientrare nella propria sovranità, rientrano nell’area C degli Accordi di Oslo, ma naturalmente ogni interpretazione al riguardo è benvenuta. A patto che non si dimentichi il 20% abbondante di cittadini arabi d’Israele, che ovviamente godono di pari diritti, i quali notoriamente si tengono gelosamente quella cittadinanza, che secondo le inchieste d’opinione, non vorrebbero cambiare per qualsivoglia altra cittadinanza. Al contempo, gli ebrei sono stati espulsi dai Paesi arabi, ed il numero di rifugiati ebrei era ben superiore a quello dei rifugiati arabi. I rifugiati ebrei non sono stati mai risarciti né hanno mai chiesto alcunché a nessuno.

    Ora i parlamentari firmatari della suddetta dichiarazione, chiedono al Presidente del Consiglio di condannare – letteralmente – una prospettiva (“non soltanto di condannare nel modo più esplicito la prospettiva del Governo israeliano”).

    Poiché non risulta che costoro abbiano mai raccolto delle firme fra di loro per richiedere la condanna di qualsiasi altro Stato, nemmeno di chi un giorno sì e l’altro pure invoca l’annientamento d’Israele, è opportuno far presente che la cennata definizione IHRA di antisemitismo, approvata dal Parlamento europeo e dalla Camera dei Deputati italiana, vieterebbe l’adozione di due pesi e due misure nei riguardi di Israele. Di tale dichiarazione Palazzo Chigi ha accolto la prima frase, assolutamente ininfluente, tralasciando tutto il suo contenuto. Visto che, come detto, i parlamentari hanno emanato una Risoluzione per chiedere al Governo di accogliere la definizione IHRA di antisemitismo, sarebbe stato opportuno che ne chiedessero l’ottemperanza anziché impegnarsi in una condanna, avendo ben altri strumenti a disposizione. Passare dalla difesa, abortita, degli ebrei italiani, alla richiesta di condanna tout court d’Israele, e non di chi ne minaccia l’esistenza, dimostra che il rapporto con l’ebraismo italiano si sta limitando alla commemorazione degli ebrei uccisi 75 anni addietro e non alla salvaguardia dei vivi.

    Infine, l’invocazione continua della soluzione dei due popoli due Stati, incontra due obiezioni: a) la mancanza della volontà di porla in essere, b) la rimozione inaccettabile del fatto che in Israele vivono due popoli, mentre nella controparte ne dovrebbe vivere uno solo.

    Intendiamoci, lo sguardo del Parlamento italiano verso l’estero appare indispensabile, anche in chiave di politica legislativa; al riguardo, basterebbe esaminare, ad esempio, quanto emerse dal numero monografico dell’Annuario di Diritto comparato e di Studi Legislativi del 2014, intento ad esaminare l’influenza del diritto italiano in Europa, oppure, nell’ambito domestico, dalla valutazione d’efficacia della nostra legislazione (D. Achille, Riv. Critica d. privato, dicembre 2019). Tutto ciò dovrebbe attirare la nostra attenzione sull’esigenza sempre più sentita di un ammodernamento del nostro sistema, alla luce della concorrenza fra ordinamenti (vedi le conclusioni dell’avvocato generale La Pergola del 16 luglio 1998 nella causa C-212/97). Quale legittimazione potremmo avere per chiedere al Parlamento di aprirsi al mondo per allacciare rapporti anziché pronunciare condanne? Forse quella che deriva da una crisi che costringe questa Comunità Ebraica a distribuire derrate alimentari fra i suoi iscritti che versano in maggiore difficoltà. Snellire l’ordinamento, unificare i sistemi, confrontarsi con le esperienze di altre giurisdizioni, tornare ad essere un Paese ammirato ed invidiato, anziché puntare preferenzialmente in sede domestica ed internazionale il solo Stato d’Israele, come se i suoi vicini fossero democrazie esemplari ed amanti della pace.

    Quanto ai rapporti con l’ebraismo italiano, sarebbe auspicabile che la democrazia italiana non consideri che l’invocazione della Memoria esaurisca i suoi compiti, perché sul piano legislativo e politico vi è un vuoto che non si riscontra in altri ordinamenti, come dovrebbe emergere dai pregevoli seminari svolti dalla Scuola Superiore della Magistratura. Non sarà la retorica degli incontri protocollari e delle commemorazioni delle leggi razziali – dove si riscontrano ancora lacune di non poco momento – a sopperire ai molti equivoci ed alle troppe disinvolte soluzioni giuridiche, che fanno bella mostra su alcuni siti ufficiali. Da parte nostra, non ci sono malintesi, perché abbiamo inteso benissimo.

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