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    Hate speech: la difficoltà di definire le parole d’odio

    Istituzione della Commissione e discorsi d’odio

    La Mozione n. 136, del Senato italiano, che ha istituito la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza (c.d. Commissione Segre, dal nome della promotrice, Senatrice a vita Liliana Segre), rileva che “nel 2014 è stata lanciata la campagna nazionale “No hate speech”, con la messa in onda, anche sulle reti della RAI, di spot televisivi e radiofonici che si inseriscono all’interno dell’omonimo progetto internazionale, promosso dal Consiglio d’Europa come forma di tutela dei diritti umani di fronte a fenomeni di odio e di intolleranza espressi attraverso il web, in preoccupante crescita: soltanto in Italia, circa il 41 per cento dei casi di discriminazione segnalati nel 2012 sono da ricondurre al web. Anche un gruppo di editori e di riviste italiani ha promosso recentemente la campagna “Le parole uccidono”, per indicare il pericolo del linguaggio violento e offensivo”.

    Identificazione dei discorsi d’odio

    Il problema che impegnerà la Commissione, riguarda l’identificazione dei discorsi d’odio. Oggi giorno, l’art. 4, lett. b) della legge 3 maggio 2004 n.112 recante norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a. (c.d. legge Gasparri) laddove dispone che:  “1. La disciplina del sistema radiotelevisivo, a tutela degli utenti, garantisce (…) b) la trasmissione di programmi che rispettino i diritti fondamentali della persona, essendo, comunque, vietate le trasmissioni che contengono messaggi cifrati o di carattere subliminale, o che contengono incitamenti all’odio comunque motivato o che, anche in relazione all’orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata o pornografiche, salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongano l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo;” (la sottolineatura è nostra). 

    Ne consegue che la legge italiana già contempla il divieto dell’incitamento all’odio, anche se sembrerebbero non esservi precedenti, per via della difficoltà di mettere a fuoco tale concetto. Pur essendo fondamentale la scelta della più ampia libertà d’espressione, non sembrerebbe azzardato ipotizzare che sul piano culturale non vi sia né una sufficiente attenzione né un altrettanto sufficiente approfondimento.

    Come la Commissione identifica i discorsi d’odio

    Nell’esposizione di motivi sopra richiamata dal Senato, si asserisce che “gli hate speech” sono difficili da definire e suscettibili di applicazioni arbitrarie, i codici penali di molti Stati membri, infatti, con riferimento all’incitamento alla violenza o all’odio, utilizzano svariate terminologie e di conseguenza vari criteri di applicazione. Gli aspetti più divergenti fra le varie legislazioni dipendono per lo più dai seguenti fattori: il peso attribuito all’intento, alla motivazione, allo strumento di comunicazione prescelto, al contesto e alle conseguenze prevedibili in date circostanze. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa definisce gli hate speech come le forme di espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o più in generale l’intolleranza, ma anche i nazionalismi e gli etnocentrismi, gli abusi e le molestie, gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi e le ingiurie che stigmatizzano e insultano”. Qui vorremmo soggiungere che la difficoltà di definizione dei discorsi d’odio non deriva dall’elemento volitivo, bensì è squisitamente connessa al linguaggio politico, al governo della polis, e richiede una raffinatezza intellettuale che non è dei nostri tempi, e non perché manchino le persone valide.

    La precedente Commissione Jo Cox era formata da un deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di organizzazioni sovranazionali, di istituti di ricerca e di associazioni nonché esperti, mentre questa Commissione è costituita da 25 componenti in ragione della consistenza dei gruppi stessi. Certamente si tratta di Commissioni di natura irriducibile l’una all’altra sul piano giuridico, e quindi sarebbe destituita di fondamento ogni conclusione derivante dalla diversa composizione.

    Conclusioni

    Il hate speechriguardante gli ebrei (vedi I. Spigno, Discorsi d’odio – Modelli costituzionali a confronto,Milano, 2018, G. Alpa, Autonomia privata, diritti fondamentali e “linguaggio dell’odio”, Contratto e impresa, 2018, p. 45; F. Bellagamba, Dalla criminalizzazione dei discorsi d’odio all’aggravante del negazionismo: nient’altro che un prodotto della legislazione penale simbolicaCriminalia, 2018, p. 265) potrebbe essere vagliato alla luce della definizione Ihra di antisemitismo, che comprende non soltanto l’antisemitismo che insiste ancora nelle sue vecchie forme ma anche quello nuovo.

    Non crediamo, salvo casi davvero eccezionali, nella forza delle sole sanzioni ma, per contro, crediamo nella necessità di chiarezza, come presupposto del dialogo e della pacifica convivenza. In questo senso, se potessimo impegnarci in una battaglia, sceglieremmo senza esitazioni quella culturale.  

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