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    I libri del lunedì. I cinque di Jabotinsky

    Inizio del XX secolo, Odessa sul Mar Nero. Città di frontiera in cui fino a qualche tempo prima l’integrazione tra culture sembrava non essere un sogno. Vladimir Jabotinsky dipinge una città che sta per tramontare, così come i suoi ebrei che, travolti da una serie di tragedie, paiono non aver futuro. Al centro del romanzo “I cinque”, scritto nel 1936 e uscito in Italia con la casa editrice Voland, c’è un giovane giornalista che ricorda per molti aspetti l’autore: è politicamente impegnato e ha rapporti con i cinque fratelli Mil’grom, membri di una famiglia dell’alta borghesia ebraica cittadina. La “ginestra” del Mar Nero, città tanto bella quanto sventurata, capitola davanti alla rivoluzione bolscevica. I cinque fratelli Mil’grom sono simbolo di questa capitolazione e della scomparsa quasi totale di ogni forma di ebraismo. Jabotinsky è però ottimista: questa dissoluzione altro non è che la promessa di un futuro migliore, è la fenice che rinasce dalle proprie ceneri, è la prova dei tempi che cambiano. Per l’ebreo della diaspora nella diaspora non c’è più alcuno spazio. L’ebreo ha il compito di attuare una rivoluzione dentro di sé, diventando prima sionista e poi israeliano, abbandonando dunque l’Europa e volgendo il proprio sguardo a Oriente. Oggi la questione è più accesa che mai con Israele che invita gli ebrei a considerare come patria non più la Francia o la Germania ma uno Stato che dell’Occidente ha qualcosa e del Medio Oriente ha molto. Jabotinsky pone la questione tanti anni addietro, quando nel 1936 la fondazione dello Stato d’Israele era avvertita come cosa lontana e sfocata, ma non ai suoi occhi per i quali Israele era già un processo in atto. 
    Marta Spizzichino


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