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    Impegno politico e ruolo degli ebrei nella società

    Nel 2010 un lettore del Corriere della Sera domanda a Sergio Romano “quando vedremo almeno a Palazzo Chigi un ebreo italiano?”. Romano menziona, fra altro “tre Primi ministri di origine ebraica”: Alessandro Fortis, Luigi Luzzatti e Sidney Sonnino, asserendo che gli ebrei “sono ora presenti nelle Università, nel giornalismo, nel mondo della cultura, della finanza e delle libere professioni, ma assai meno presenti nelle grandi cariche direttive al vertice dello Stato. Posso fare qualche supposizione e immaginare che ciò sia dovuto al declino delle speranze riposte dalla comunità ebraica italiana nella nostra grande avventura nazionale. Ma si tratta per l’appunto di una semplice supposizione, difficilmente verificabile”. La sua ipotesi è che gli ebrei non sperino “nella nostra grande avventura nazionale”. Una frase, all’apparenza, incomprensibile. Se l’avventura nazionale è ”grande”, perché non sperarvi? Il problema – lui stesso lo scrive – consiste nell’essere, tale ipotesi, ciò che lui stesso chiama una supposizione, “difficilmente verificabile”.

    Se io scrivessi che gli  abruzzesi, per dire, non credono nell’Italia, ipotesi certamente non esaltante, soggiungendo che si tratta di una semplice supposizione difficilmente verificabile, perché lo dovrei dire se non ne ho alcuna base o, perlomeno, se non menziono tale base? Il problema è che il ragionamento che fece Romano dieci anni addietro è  diventato adesso molto comune e si inserisce secondo me nella logica abduttiva laddove, sempre a nostro avviso, l’ipotesi viene elevata a conclusione. Perché gli ebrei non sono più ministri o Presidenti del Consiglio? Le ipotesi più realistiche potrebbero riguardare l’esistenza di pregiudizi antisemiti; qui non ci sono abduzioni che valgano, basterebbe un’inchiesta, oppure si potrebbe ipotizzare che la causa risieda nel danno irreparabile che ha subito l’ebraismo italiano con le leggi razziali. Dopotutto, basta vedere che dei quattro Premi Nobel ebrei italiani, nessuno ha vinto il Nobel per i lavori fatti in Italia, bensì nel loro forzato esilio americano. Quindi, le ipotesi che faccio sono verificabili.

    Sostenere che gli ebrei non siano ministri o Presidenti del Consiglio per il “declino delle speranze riposte dalla comunità ebraica italiana nella nostra grande avventura nazionale” è vero soltanto nel mio caso, perché le alte cariche dello Stato mi interpellano tutti i giorni per offrirmi un dicastero e io di proposito non mi faccio trovare o faccio la voce di mia moglie, dicendo “Emanuele non c’è”. Se per caso mi dovessero trovare, direi: “scusi, non voglio il dicastero della Giustizia (lo gradirei parecchio sia in quanto uomo di legge, sia perché potrei andarci a piedi) perché ho declinato le mie speranze nella nostra grande avventura nazionale”. Così chi mi interpella avrebbe modo di capire che io sono inguaribilmente scemo e si pentirebbe amaramente dell’offerta.

    Scrivere in modo elegante ma senza prove che gli ebrei non credono nell’Italia equivale, che so, a dire senza prove, che l’Unione europea ci rovina, che la Francia deruba le sue ex colonie, e così via. 

    Ho appena scritto un articolo, per una rivista giuridica, sulla recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul Quantitative easing, ma prima di scriverlo sono andato a cercare, riproducendole, le fonti più qualificate, anche per capirci qualcosa. Invece ora si è soliti affidarsi a “supposizioni difficilmente verificabili”. Si tratta di un metodo che mette in crisi i ragionamenti logici e che porta troppo vicino al citato ragionamento abduttivo. Penso che sarebbe bene spiegare agli studenti – vorrei iniziare dalle Scuole ebraiche – come reagire alle inversioni dell’onere della prova di cui scrissi nel mio precedente articolo, come dire che, se si sostiene che gli ebrei non credono nell’Italia (menzioni tutta la comunità ebraica, mica escludi alcuno), devi essere tu a fornire le prove e non io a dimostrare la mia innocenza. Lo dice pure la Costituzione; sarà un caso?

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