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    Olocaustico, tutta questione di satira

    “Olocaustico” è il romanzo d’esordio del regista Alberto Caviglia. È un libro che fugge le categorie di genere, situandosi a cavallo tra alcune di esse. É una distopia quotidiana, che non si proietta né nel futuro né nel passato, scegliendo il presente come terreno di sviluppo. Fa largo uso dell’ironia e dell’umorismo per trattare temi, come la Shoah, che poco tollerano il riso. 

    È un romanzo giovane e acerbo, al centro del quale c’è David Piperno: un ragazzo romano legato alle proprie radici e alla città in cui è nato che decide di partire, a maturità conclusa, per Israele con l’intenzione di frequentare un corso di ebraico. Incoraggiato dalla madre opprimente e protettiva Sara – tipica figura che gli ebrei maschi dall’America alla Russia conoscono -, David parte e decide solo poi di rimanere e spendersi per avverare il sogno di una vita: diventare un regista di fantascienza. Lì conosce una ragazza, Sharona, che diventa la fidanzata e nel frattempo per racimolare qualcosa, trova impiego presso il Museo di Yad Vashem, per cui intervista i sopravvissuti alla Shoah. Scene comiche, signori anziani un po’ scorbutici e altri che rischiano di morire sommersi dai macchinari usati durante le stesse interviste, pullulano lungo tutto il romanzo. La trama è questa ma è anche altro: è la creazione di una falsa testimonianza, in cui un finto testimone della Shoah si ritrova a dare una finta intervista con tanto di sceneggiatura. É lo stesso David, inaffidabile e infantile, che produce il falso, così perfetto da ricevere i complimenti dello stesso museo. A questo fatto ne seguono altri che hanno del tragicomico: la chiusura dello stesso Yad Vashem, il l dilagare del negazionismo e una crisi d’identità che investe lo Stato di Israele. A tutto ciò segue un ribaltamento che ha del fantascientifico: la storia di una lucertola mostruosa, come un deus ex machina, farà venire a galla la verità, ristabilendo un po’ dell’armonia perduta. É un romanzo che parla di fake news, che pone il problema importante e sempre più imminente della quasi totale scomparsa degli ultimi sopravvissuti e che si scontra con il galoppante antisemitismo. Associare automaticamente l’ebraismo alla Shoah è un errore, perché rilega l’identità di un popolo millenario a un singolo pezzo di storia. Confrontarsi con essa è doveroso ma l’ebraismo – esempio di pluralità di costumi, tradizioni, storie e liturgie – merita di più. Merita di essere conosciuto per la sua lunga storia, e questo libro, tra una battuta caustica e l’altra, ce lo ricorda. 


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