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    ROMA ANTICA: IL DIFFICILE RAPPORTO TRA EBREI E IMPERATORI

    di David Di Segni

    Nel 6 e.v, Il territorio della Giudea era di nuovo in disputa a causa del malcontento derivato dal dominio che gli Idumei, o Edomiti, stessero praticando. Gli Edomiti, dall’ebraico “Adom” – Rosso, erano la popolazione discendente da Esaù, situata nella zona Sud dell’odierna Israele. Questo spinse una delegazione di ebrei proveniente dalla Giudea a raggiungere Roma per esprimere il proprio disappunto sulla situazione in medio oriente, trovando la solidarietà della comunità ebraica locale e di Roma stessa, che provvide all’annessione ufficiale della Giudea. Gli imperatori che successero Ottaviano Augusto non mantennero gli stessi buoni rapporti con gli ebrei, tra cui Tiberio, appartenente alla dinastia Giulio-Claudia, il quale ne cacciò alcuni da Roma, i Libertini, inviandoli in Sardegna per contrastare il brigantaggio. Si dice, non per vie ufficiali, che la motivazione di tale decisione derivasse dalla frode che un gruppo di ebrei avrebbe organizzato ai danni di Fulvia, moglie del senatore Saturnino, la quale avrebbe dato loro dei soldi da inviare a Gerusalemme, che tuttavia non sarebbero mai arrivati. Dione Cassio, politico romano, a differenza dei pareri di molti e dei fatti appena descritti, sosteneva che la scelta di Tiberio fosse dipesa solo da una serie di tensioni dovute alle numerose adesioni che l’ebraismo stesse raccogliendo, le quali avrebbero trovato il canale di sfogo in quell’evento. Il tutto cessò quando Seiano, romano e amico e confidente di Tiberio, bramò un complotto alle sue spalle. L’imperatore allora decretò che gli ebrei fossero stati oggetto di calunnie e li fece rimpatriare, promulgando per tutta la città direttive a loro favore come altri imperatori prima di lui. La situazione peggiorò di nuovo con l’arrivo di Caligola, successore di Tiberio, che entrò ben presto in conflitto con gli ebrei. Il “culto di sé stesso” da lui praticato era in netta contrapposizione con le tradizioni e leggi degli ebrei, chiaramente avverse al concetto di idolatria, che si opposero fortemente quando questo decise di porre all’interno della sinagoga di Alessandria una sua statua. Filone di Alessandria, ebreo e mediatore tra la cultura ellenica e quella ebraica, giunse a Roma, come raccontato nel suo “Legatio ad Caium”, per sostenere la causa degli ebrei di Alessandria contro la decisione dell’imperatore. Questa opposizione mosse le truppe dell’impero, guidate da Petronio (governatore della Siria), fino ad Acco dove furono fermate, pur se per poco tempo, dalla mediazione di Agrippa, re di Giudea. Dopo poco infatti, Caligola fece pressione per attaccare di nuovo la Giudea e sarebbe riuscito nell’intento se solo non fosse morto prima. Con la morte di Caligola, e con la revoca dell’ordine di attaccare il territorio della Giudea, si evitò una grande e sottovalutata guerra civile in tutto l’impero romano. Il successore di Caligola fu l’imperatore Claudio, che invece mantenne buoni rapporti con il popolo ebraico, considerati anche i legami che aveva con la famiglia governante in Giudea e Samaria. Stando a quanto scritto da Svetonio in “Vita di Claudio”, il neo-imperatore avrebbe, nonostante le premesse fatte, cacciato da Roma tra i più tumultuosi fra gli ebrei, mentre Dione Cassio sosteneva nel dire che avesse solamente proibito le riunioni religiose. Il tutto causò degli attriti in Giudea, la cui autonomia, ottenuta per concessione di Claudio dopo la morte di Agrippa I, fu revocata facendo sì che tornasse ad essere una provincia romana. Le tensioni sfociarono in una guerra, una guerra causata dalla politica di due romani situati in Siria: Gessio Floro, prima, e Cestio Callio, dopo. Questa guerra prese il nome di “guerra giudaica”, vinta dagli ebrei in rivolta. Questa sconfitta fece sì che l’esercito dell’impero venisse affidato alla direzione di Vespasiano, considerato una carta vincente per lo scontro. Un esercito di sessantamila uomini. Morto Vitellio, Vespasiano salì al potere come imperatore, lasciando la gestione dell’esercito a suo figlio Tito, il quale continuò l’assedio e nel 70 e.v. distrusse Gerusalemme ed il suo Tempio (data ebraica: 9 di AV), spogliandolo e profanandolo e deportando a Roma migliaia di ebrei schiavi. Durante l’assedio le fazioni del popolo ebraico iniziarono una lite tra loro: gli Zeloti, che volevano combattere, contro i Saggi, che volevano arrendersi. Oltre all’attacco dei romani, si aggiunse la disputa tra correligionari.

    Solo la città di Masada resistette, ma per poco tempo. Nel 73 e.v, iniziò la dispersione del popolo ebraico, la più grande dopo l’assedio subito dai Babilonesi di Nabucodonosor II.

    Vespasiano fu repressivo nei confronti degli ebrei, cancellò l’invio di offerte a Gerusalemme sostituendole con quelle da versare al tempio di Giove Capitolino. Nacque così il “fiscus Iudaicus”, una tassa di due Dracme a testa, esclusiva per gli ebrei, da inviare a Campidoglio invece che al tempio di Gerusalemme. Gli addetti all’incasso venivano chiamati “Procuratores Ad Capitularia Iudaeorum”, i quali detenevano un registro con gli iscritti alla comunità ebraica. Si potevano esentare dal pagamento gli ebrei che avessero accettato la conversione religiosa. La vittoria di Tito venne impressa sulle monete di Roma: una donna seduta sotto una palma, con una scritta “Iudaea Capta”, Giudea Conquistata. Quindici anni dopo l’assedio a Gerusalemme, Domiziano fece un monumento per ricordarlo e commemorarlo: il famoso Arco di Tito.

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