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    “A stasera e fai il bravo”. A piccoli passi nella elaborazione di un dolore difficile da affievolire

    “A stasera e fai il bravo” è un libro di Salo Muller che è stato presentato, in occasione della Giornata della Memoria, nella sua prima edizione italiana come allegato per “Il Sole 24 Ore” e qualche giorno dopo nelle librerie di tutta Italia. Una narrazione che percorre la memoria della Shoah con gli occhi dello scrittore Salo, un uomo dall’infanzia rubata che a soli sei anni si è trovato a dover vivere senza i genitori in una situazione molto dura per gli ebrei di tutto il mondo.

    Ancora oggi si chiede “come è possibile che sia accaduto?”. Una domanda che lo assilla ogni giorno, soprattutto quando si dirige nelle scuole e negli incontri pubblici dove racconta la sua storia: “Reprimo la rabbia ma soprattutto l’enorme dolore che si è impadronito di me. Non passa giorno senza che pianga. Non serve a nulla. Eppure sento di dover riportare l’ordine dentro di me. Devo trovare la pace, senza farmaci, senza visite mediche, senza palliativi.”

    Questo libro è stato scritto per condividere la storia della sua vita, ma agli occhi del lettore, leggendo pagina dopo pagina, sembra come un grande macigno che lentamente si fa sempre più leggero man mano che lo scrittore prende consapevolezza.

    I capitoli sono sono scritti in ordine cronologico come la maggior parte dei libri storici. Non è una pecca, anzi sembra emergere ancor di più il bisogno di Salo di voler mettere tutto in ordine e affievolire quel dolore troppo forte ancora e impossibile da dimenticare. Come spiega lui stesso poco più avanti: “Nel corso del racconto ha trovato posto tutto ciò che ricordo, non tanto disposto per data, quanto rievocato laddove servisse alla narrazione. Ed è così che lo ricordo, a più di settant’anni da quello sterminio.”

    Un libro intimo che entra in punta di piedi nella vita di un bambino che all’epoca dei fatti aveva solamente sei anni. Il titolo del libro deriva proprio da un episodio specifico: sua mamma Lena che, in un sabato mattina del novembre 1942, lo bacia in fronte mentre lui entra a scuola e gli sussurra “a stasera e fai il bravo”. Quella sera da passare insieme alla sua mamma e al suo papà Louis non arrivò mai. I genitori furono vittime di un rastrellamento voluto dalle SS in Olanda. Salo rimane orfano mentre Lena e Louis trovano morte certa nel Campo di sterminio di Auschwitz. La resistenza olandese lo nasconde, lo aiuta a trovare alloggi di fortuna e famiglie che si fanno carico di lui. Alla fine della guerra lo attende una nuova partenza in un mondo libero: lo accolgono gli zii e dopo problemi di salute e di adattamento, trova la sua strada diventando fisioterapista dell’Ajax di Johan Cruijff, negli anni d’oro dal 1960 al 1972. Una storia che, nonostante tutto, ha saputo dare un piccolo lieto fine a quel bambino divenuto uomo. Un lieto fine che tanti bambini dell’epoca non hanno potuto avere perché anch’essi, come i genitori di Salo, sono stati uccisi in un campo di sterminio.

    Le domande che lui si pone all’interno della narrazione sono tante, come nel quattordicesimo capitolo dove inizia chiedendo: “Dov’era finita la solidarietà dell’anteguerra? Gli ebrei all’improvviso non valevano più nulla? E cosa si intendeva esattamente con ebrei?”. Risposte che un bambino di sei anni non avrebbe mai potuto trovare, ma in compenso cercava di reprimere tutto il dolore del momento che poi inesorabilmente sfociava in un senso di soffocamento mentre cercava di pregare sotto le coperte affinché i suoi genitori potessero far ritorno da quell’inferno.

    Una lettura scorrevole e consigliata per chi vuole saperne di più sulla Shoah vista con gli occhi di un bambino!

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