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    Anna Salton Eisen: La donna del Texas che riunisce le famiglie di sopravvissuti alla Shoah

    Esistono storie straordinarie di sopravvivenza e di resilienza, connessioni incrociate dal destino. E così Anna Salton Eisen, ha deciso di incrociare questi destini per mettere in contatto famiglie di sopravvissuti alla Shoah. Usando i nomi, ricavati dalle storie raccontate da suo padre, ha rintracciato e si è messa in contatto con più di otto famiglie di ex prigionieri dei campi nazisti, sparse in tutto il mondo.

     

    George Lucius Salton, padre di Anne, conservò in una cartella, per la maggior parte della sua vita,

    vecchie foto dei prigionieri ebrei sopravvissuti alla Shoah.

     

    La donna ha riconosciuto alcuni dei nomi di giovani ebrei attraverso le storie raccontate da suo padre. “Vedere i volti di tutti loro ha davvero dato vita alla storia”, ha detto Eisen, che ha scoperto le foto mentre trasferiva sua madre, Ruth Salton, dalla Florida all’area di Dallas la scorsa estate.

     

    Eisen, 62 anni, ha spiegato di sentirsi in dovere di saperne di coloro che avevano significato tanto per suo padre, morto all’età di 88 anni nel 2016.

     

    George Salton aveva soli 17 anni quando l’esercito degli Stati Uniti liberò il campo di concentramento di Wobbelin, in Germania il 2 maggio 1945. Negli anni successivi, i sopravvissuti si dispersero in tutto il mondo. La maggior parte perdendo i contatti l’uno con l’altro.

     

    Così oltre 76 anni dopo che i soldati americani tagliarono il filo spinato realizzando il sogno impossibile di libertà dei prigionieri, Eisen ha deciso di riunire i cari dei sopravvissuti, inaspettatamente e grazie alla velocità della tecnologia moderna, è riuscita a realizzare questo sogno.

     

    Quando Eisen ha iniziato la sua ricerca, ha fatto affidamento su nomi scritti a matita sul retro delle immagini, o menzionati ripetutamente nel libro di Salton del 2002, “The 23rd Psalm: A Holocaust Memoir”.

    Mentre esaminava i dati dell’era nazista, i documenti ufficiali, gli elenchi dei campi di concentramento e i documenti del dopoguerra archiviati online, attraverso gli Archivi Arolsen presso il Centro internazionale sulla persecuzione nazista in Germania, Eisen ha verificato i nomi e le date di nascita dei sopravvissuti.

     

    Attraverso Ancestry.com, la donna ha esplorato gli elenchi dei passeggeri delle navi portarono o i sopravvissuti in altri paesi, le carte di previdenza sociale che documentano i cambiamenti di nome, i necrologi e gli alberi genealogici.

     

    Tutte queste informazioni, unite alle ricerche su Google e Facebook hanno portato Eisen ai figli e ai nipoti degli amici di suo padre, la maggior parte dei quali non ha mai saputo – fino ad ora – la storia completa di ciò che i loro cari hanno vissuto negli anni terribili della Shoah.

     

    Todd Nussen, ad esempio, un insegnante di un liceo a New York, ha reagito con gioia e sorpresa al contempo, quando Eisen gli ha scritto alla fine di luglio per chiedere del suo omonimo nonno, Tobias Nussen, morto all’età di 52 anni nel 1973.

    “Ora ho i dettagli. Ora ho i fatti per comprendere meglio”, ha detto l’insegnante. 

     

    Qualche settimana fa, alcuni membri di otto famiglie diverse di sopravvissuti hanno avuto modo di incontrarsi. Un risultato sorprendente per la ricerca di Eisen. Alcuni si sono scambiati abbracci commuovendosi per l’incontro inaspettato. Altri si sono collegati tramite Zoom da Israele, Svezia e Texas.

     

    “Mi ha fatto venire i brividi”, ha detto Bobbie Ziff la figlia di Tobias Nussen dell’incontro emozionante, che si è svolto meno di quattro mesi dopo la scoperta delle foto.

     

    In America, il padre di Ziff si costruì una nuova vita, diventando proprietario di una tavola calda a Brooklyn, New York. “Non ha mai parlato della Shoah, ma spesso aveva gli incubi la notte, e non mancavano le grida nel sonno” ha detto Ziff.

     

    Tanti incontri diversi, dipanati tra gli Stati Uniti e Israele come, ad esempio, la storia di Motek Hoffstetter.

    Sua figlia Aviva Findler, un’insegnante di scuola superiore in pensione che vive a Tel Aviv, ha detto che suo padre, come molti altri sopravvissuti, si era rifiutato per tutta la vita di parlare di ciò che aveva vissuto durante la guerra. “Durante l’incontro, ho scoperto tante cose di mio padre, il che mi ha reso davvero orgogliosa e triste al contempo”, ha detto Findler.

     

    Per gran parte della sua vita, il padre di Eisen ha creduto di poter mantenere il passato nel passato. E così i compagni sopravvissuti, tentando di non soffermarsi sulle loro ferite.

    “È una piaga ancora aperta – ha detto Ruth Salton – non volevamo che nessuno dei nostri figli portasse con sé le cose che abbiamo vissuto”.

     

    George Salton, riuscì a costruirsi una vita ma non dimenticò mai il suo passato e così, proprio grazie alle sue memorie, tanti “figli e nipoti” della Shoah hanno avuto modo di incontrarsi dimostrando che essere ancora vivi ed ebrei, è la miglior vendetta a ciò che fu.

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