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    Caso Halimi – «La sentenza può favorire manifestazioni di antisemitismo» Intervista a Giovanni Maria Flick

    A seguito della conferma da parte della Corte di Cassazione francese della sentenza secondo cui Kobili Traore non sarà processato per l’omicidio di Sarah Halimi avvenuto nel 2017, Shalom ha intervistato Giovanni Maria Flick, Presidente emerito della Corte costituzionale e già Ministro di Grazia e Giustizia.

     

    Professore, il timore delle comunità ebraiche e di parte della collettività è che questa sentenza, ritenuta ingiusta, possa creare un precedente importante e rappresentare un avallo per i crimini d’odio e di antisemitismo. Cosa ne pensa?

     

    Ovviamente non entro nello svolgimento dei fatti e nel merito della decisione da un punto di vista tecnico, non conoscendo né gli uni né l’altra. Dalla lettura della sentenza si comprende che l’imputato è stato ritenuto affetto da un disturbo psichico dovuto all’assunzione di stupefacenti e ha commesso il fatto per motivi legati alla propria religione islamica. La risonanza della decisione potrebbe in effetti condurre in casi analoghi al ricorso all’infermità di mente come motivo di esclusione della responsabilità di chi commetta un crimine a matrice antisemita.

     

    L’assassino è stato assolto in corte d’appello perché ritenuto “non in sé” dopo aver assunto droghe (marjuana). L’interpretazione della legge, che Macron indignato per la vicenda ha proposto di cambiare, la reputa corretta?

     

    La Corte di cassazione francese ha ritenuto che l’imputato fosse affetto da un disturbo psichico, dovuto all’assunzione regolare di cannabis. Dalla lettura della sentenza sembra comprendersi che l’autore è stato assolto perché ritenuto affetto da psicosi cronica causata dalla regolare assunzione di stupefacenti e l’omicidio è stato ritenuto il momento dirompente di un delirio già in atto. Non sono in grado di affermare se la legge penale francese sia stata correttamente applicata nel caso concreto. Certamente la decisione potrebbe convincere il Parlamento francese a rivedere le norme in materia di imputabilità, sotto il profilo della loro interpretazione.

     

    In Italia crede sia possibile una situazione analoga?

     

    In Italia l’incapacità di intendere e di volere può essere riconosciuta in caso di accertata infermità di mente (art. 88 c.p.). Il fatto commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti non esclude l’imputabilità. Anzi, se l’assunzione è abituale, o preordinata al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa, costituisce un aggravante.  Solo ed esclusivamente l’intossicazione cronica effettivamente esistente, ossia l’assunzione di sostanze che provochino alterazioni patologiche permanenti, può escludere l’imputabilità (art. 95 c.p.). In tal caso, tuttavia, è necessario accertare nel processo che: esista uno stato di intossicazione cronica; questa si sia risolta in una vera e propria malattia mentale. Di conseguenza situazioni analoghe potrebbero in concreto verificarsi raramente, secondo l’interpretazione della nostra giurisprudenza.

     

    Lei che si è battuto per i diritti dell’uomo, e che ha sostenuto le ragioni della comunità ebraica in molte occasioni, pensa che a volte la legge possa entrare in conflitto con valori come quello della lotta all’antisemitismo? 

     

    Non sempre è garantita l’effettiva tutela delle minoranze, in specie quelle religiose, in particolare quella ebraica: basta pensare alle leggi naziste e fasciste prima dell’ultima guerra mondiale in tema di persecuzione antiebraica; alla tragedia della Shoah; alla trasformazione dell’antisemitismo in una forma di antisionismo, tanto da rendere necessarie una convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla discriminazione razziale e una serie di leggi nel nostro ordinamento nazionale. Negli ultimi anni sono aumentate a livello globale le manifestazioni d’odio antisemita. Non è semplice trovare il giusto equilibrio fra libertà personale, libertà di espressione e libertà religiosa. Bisognerebbe però dare maggiore attenzione alla tutela di categorie più deboli e discriminate in riferimento a fatti gravi, non ci si può limitare al solo aumento delle sanzioni. La lotta all’antisemitismo è anzitutto una battaglia culturale e di civiltà, che la nostra Costituzione individua come valore fondante ed essenziale, vietando ogni forma di discriminazione basata sulla razza (concetto, quest’ultimo, che si è dimostrato essere inesistente ma che testimonia le atrocità commesse in suo nome).

     

    Possono queste vicende fare da apripista a manifestazioni ed atti di antisemitismo?

     

    Atti di antisemitismo continuano ad avvenire giornalmente, tanto nella forma della violenza fisica contro singole persone, quanto nella veste di azioni offensive verso la comunità ebraica in generale. A ciò si aggiunge il dilagante odio sul web. Il ricorso alla infermità di mente potrebbe diventare frequente in caso di atti terrorismo e di apologia a cosiddetta “matrice islamica” e questa vicenda potrebbe aggravare la diffusione di manifestazioni antisemite in Europa.

     

    La Francia ebraica ed alcune comunità ebraiche del mondo scenderanno in piazza a manifestare il 25 aprile. Gli avvocati dell’accusa vorrebbero appellarsi alla corte dei diritti dell’uomo ed all’Unione Europea. Crede si possa porre rimedio alla questione? Quali sono gli scenari?

     

    L’art. 14 CEDU vieta ogni forma di discriminazione che possa impedire il pieno godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Si potrebbe ricorrere alla Corte Europea seguendo due passaggi: affermando prima che nel caso di specie vi sia stata una violazione dell’art. 14 CEDU; sostenendo poi che i rimedi interni all’ordinamento francese non siano idonei a garantire il rispetto del divieto di discriminazione. Non è una via semplice: si dovrebbe provare che la normativa penale francese, in tema di imputabilità e in riferimento ai crimini d’odio, non sia tale da tutelare di fatto il diritto alla vita e alla libertà religiosa delle persone francesi di fede ebraica. Ma è una battaglia che deve essere condotta non solo dalla Francia, ma da tutti in nome della Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite del 1948.

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