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    Ebrei a Shanghai, riapre il museo dopo il restauro

    In una fase assai difficile per il comparto museale in Italia e in Europa, una notizia incoraggiante arriva dalla Cina. Riaperto al pubblico da qualche settimana, dopo una fase di restauro, lo Shanghai Jewish Refugees Museum, ampliato e arricchito di nuovi reperti. In questa struttura, situata a Tilanqiao, il quartiere del ghetto ebraico di Shanghai, si ricostruisce la diaspora degli ebrei nella città. Dal 1840, attraverso tre ondate migratorie, gli ebrei si stanziarono a Shanghai fino a raggiungere le 30mila persone, annoverando tra le loro fila uomini d’affari, artisti e liberi professionisti, che contribuirono notevolmente alla crescita economica e allo sviluppo della città. I primi ad arrivare furono commercianti e imprenditori che individuarono nella città portuale cinese un centro potenzialmente nevralgico per gli scambi: fu, insieme ai suoi familiari, David Sassoon, già esperto di commerci nel subcontinente indiano e in Asia Minore, a inaugurare questo filone. Negli anni successivi, altre famiglie ebraiche come Hardoon, Kadoorie, Ezra si inserirono nell’economia di Shanghai ottenendo altrettanto successo. Sorsero così anche sinagoghe, scuole e anche un primo movimento sionista. A differenza di questi ebrei sefarditi, gli Ashkenaziti, provenienti dalla Russia, giunsero a Shanghai per fuggire dalle persecuzioni: le attività a cui si dedicarono maggiormente furono il commercio del tè e il prestito di denaro. Tra il 1933 e il 1941, poi, si aggiunsero tra i 20 e i 30mila ebrei in fuga dall’Europa sotto il giogo nazista. Nel 1937, quando l’esercito giapponese occupò l’area intorno alla città, l’Insediamento Internazionale di Shanghai divenne un’isola nel territorio di occupazione di Tokyo, la cui unica connessione col mondo esterno era il mare. Fuori dal controllo cinese, ma senza un governo fantoccio sotto il controllo nipponico, dal 1937 al 1939, gli stranieri per accedere all’area di Shanghai non avevano bisogno di visti, garanzie finanziarie o documenti particolari: divenne così un punto di riferimento per molti ebrei in fuga dalle persecuzioni. Nel dicembre 1941, lo scoppio della guerra nel Pacifico significò un drammatico cambiamento: il Giappone, dichiarando guerra a Stati Uniti e Regno Unito, attaccò la regione di Shanghai. Pur non implementando il “Meisinger Plan” (una soluzione finale per gli ebrei del posto), furono prese misure repressive, culminate con la chiusura degli ebrei nel ghetto. Da quel momento, per gli ebrei di Shanghai iniziò un periodo difficile, ma si salvarono quasi tutti, emigrando poi dopo il conflitto verso Israele o gli Stati Uniti. Oggi sono circa duemila gli ebrei che vivono a  Shanghai. Il loro numero si è dimezzato dopo lo scoppio dell’epidemia di Covid-19: nessuno di questi, a quanto si  sappia, è imparentato con i 20mila sfuggiti alla barbarie nazista, ha spiegato alla BBC Dvir Bar-Gal, giornalista israeliano che ha studiato la storia degli ebrei rifugiatisi nella metropoli cinese per sfuggire ai campi di sterminio. Tuttavia, Tilanqiao resta ancora oggi meta dei discendenti di coloro che in questa zona di Shanghai hanno trovato la salvezza dalla Shoah.

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