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    Gli ebrei nei territori occupati dall’Italia durante la seconda guerra mondiale: il convegno internazionale a Roma

    Slovenia, Dalmazia, Albania, Grecia, Tunisia: sono solo alcuni dei luoghi al centro delle riflessioni del convegno internazionale “L’Italia e gli ebrei nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale”, un’iniziativa volta ad affrontare un tema poco approfondito con storici di diversi Paesi. Il Convegno è stato organizzato dalla Fondazione Museo della Shoah insieme all’Università La Sapienza, all’Istituto storico germanico di Roma (DHI), con il patrocinio del Comune di Roma. 

    Il fitto programma ha previsto la partecipazione e il contributo di storici provenienti da numerose università italiane e straniere, con il coordinamento del comitato scientifico composto dai professori Umberto Gentiloni, Isabella Insolvibile, Lutz Klinkhammer e Amedeo Osti Guerrazzi. Obiettivo dell’iniziativa è stato quello di fare un punto situazione sullo stato degli studi, delle riflessioni storiografiche, delle ricerche e indicare nuove prospettive sul tema. 

    La prima giornata è stata aperta dall’intervento del professor Umberto Gentiloni. «Siamo insieme a ragionare da prospettive, punti di vista, sguardi e percorsi diversi sulla condizione degli ebrei fuori dai confini nazionali, cercando di ragionare su letture parziali che ci hanno accompagnato negli anni. La prima analisi è quella della “diversità italiana”, degli “italiani brava gente”, secondo cui le occupazioni italiane siano state diverse da altre; dall’altra parte, credo che lo sforzo di queste giornate sia anche quello di mettere in discussione l’idea di un paradigma unico di riferimento, di una sorta di modello, di schema, di approdo rassicurante per cercare di rispondere alla domanda storiografica dalla quale siamo partiti». L’approccio delle giornate di studio si è indirizzato «fuori da una lettura semplicistica che ha condizionato decenni di storia e di storiografia della nostra Repubblica, e fuori dall’idea di poter cercare una formula rassicurante, una struttura decisionale, un meccanismo legato anche alle catene di comando che potesse essere applicato a diversi contesti. Quando si cerca di fare ricerca storica, invece, si deve andare a vedere, si devono valorizzare le fonti e cercare di capire che cosa c’è di aperto nella riflessione e nella ricerca storiografica».

    Da una parte una riflessione sul fascismo, dall’altra la costruzione di una cronologia degli andamenti e degli sviluppi della seconda guerra mondiale: molte relazioni hanno offerte spunti sul peso e sull’incidenza dell’antisemitismo nella proiezione esterna, quindi nella costruzione di un fascismo fuori dai confini nazionali, i principi generali, l’impostazione biologico-razziale, e in una certa misura un elemento declinabile e declinato a seconda dei contesti. «Non vi era un’unica catena di comando, né una sola direttrice a cui fare riferimento, né un’unica forma di rapporto tra il potere politico, il potere militare e l’esercizio delle competenze specifiche nei diversi teatri dove l’antisemitismo diventava politica, ossia costruzione del regime anche fuori dai confini nazionali» ha aggiunto il Prof. Gentiloni.

    Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma, ha sottolineato «da un lato la vitale necessità di poter attingere a fonti solide, dall’altro l’esigenza di parlare al pubblico affinché questo non sia lasciato in balia di informazioni prese dai social e non verificate».

    Il professore Martin Baumeister, direttore dell’Istituto storico germanico ha salutato i presenti  sottolineando che la partecipazione al convegno è « un onore e un dovere per il lungo risultato di ricerca sui temi. La storia buia di quegli anni sta nel nostro cuore e sul nostro stomaco. È una storia che dobbiamo riprendere ed elaborare, e non lasciarla solo alla memoria». Secondo  Baumeister «l’approccio di collegare campi abbastanza diversi della ricerca sulle occupazioni naziste e fasciste con la storia della persecuzione e della distruzione degli ebrei europei è un passo avanti per capire tante dinamiche in un approccio non solo comparativo ma anche di intrecci. L’importanza del convegno risiede anche nell’ampio mosaico geografico che tratta rispetto all’occupazione, oltre che per la qualità degli studiosi radunati».

    Il convegno è stato introdotto dal Professor Amedeo Osti Guerrazzi, storico dell’Università di Padova e della Fondazione museo della Shoah, il quale ha spiegato che delle vittime causate dagli italiani si sa pochissimo, che il mito degli ‘italiani brava gente’ ha messo d’accordo fascismo e antifascismo, ovviamente con importanti eccezioni, e che solo alla fine del secolo scorso il dibattito storiografico ha cominciato a metterlo in dubbio. «In Italia l’eredità del fascismo è particolarmente pesante, con ripercussioni politiche notevoli. L’Italia è l’unico paese occidentale dove la memoria della Shoah è così sbilanciata. La memoria del fascismo e perfino dell’antifascismo è una memoria tuttora difficile, si pensi alle politiche di occupazione e dei crimini di guerra italiani, fonte continua di imbarazzo. Non esiste Paese dove ci sia stata la presenza delle forze armate del regime che non abbia i suoi monumenti e commemorazioni di stragi e di crimini commessi dalle nostre forze armate. Di questi monumenti e della dolorosa memoria da cui sono nati gli italiani ne hanno conoscenza solo se come turisti ci si imbattono» ha aggiunto Osti Guerrazzi.

    Tra gli enti e gli istituti di provenienza dei relatori vi erano l’Università di Trieste, La Sapienza di Roma, HumboldUniversitätBerlin, Università Roma Tre, Università di Belgrado, Università della Calabria, Università del Piemonte orientale, National Hellenic Research Foundation, Open University, Yad Ben Zvi Institute Israel, Università di Oslo, Insitutfuer Zeitgechicte di Monaco, Università di Perugia, Royal Military College of Canada.

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