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    La complessa rete di Onlus che finanzia il terrorismo palestinese anche dall’Italia

    Un network internazionale di Onlus presente in tutta Europa volto a finanziare l’organizzazione terroristica di Hamas. È quanto sta emergendo dall’inchiesta portata avanti da Massimiliano Coccia sul mondo delle associazioni del Terzo Settore che in qualche modo sono collegate col terrorismo palestinese. Nel primo articolo pubblicato su Repubblica, ha individuato una delle associazioni meglio organizzate sul territorio italiano, l’Associazione Benefica di solidarietà per il popolo palestinese, guidata dall’architetto palestinese Mohammad Hannoun. Per conoscere meglio questo fenomeno, Shalom ha intervistato il giornalista.

     

    “In Italia c’è un doppio binario spaventoso, da un lato le forze di intelligence, di polizia e la magistratura svolgono un ruolo di controllo sul territorio invidiato in tutto il mondo e dall’altro la politica e la società civile quando si parla di Hamas si ammantano di ambiguità”.

     

    Un sistema di finanziamento studiato a tavolino da Hamas, che sistematicamente fa leva sul dibattito pubblico, incentrandosi soprattutto sulla questione israelo-palestinese.

     

    “Il meccanismo delle Onlus funziona perché esiste uno strato nell’opinione pubblica che fa di tutta la questione un calderone e che quindi finanzia queste associazioni pensando di fare del bene”. Un meccanismo comunicativo rodato dall’organizzazione islamista che grazie alla polarizzazione del tema porta a ingenti donazioni.

     

    “Il network europeo funziona proprio perché si è creato un forte dibattito pubblico riguardo il conflitto, a tal punto che raggiunge i picchi proprio durante i periodi di crisi tra Israele e Hamas” sottolinea il giornalista.

     

    La domanda sorge spontanea: come ha fatto a funzionare fino ad ora questo metodo? La struttura giuridica delle associazioni permette di muoversi in un contesto di ambiguità, la non pubblicità dei bilanci, la non obbligatorietà di iscrizione ai registri delle Onlus dell’Agenzia delle Entrate rendono difficile ricostruire la filiera dei finanziamenti dei singoli. C’è da sottolineare che la maggior parte delle raccolte fondi si avvalgono del meccanismo della hawala, un sistema informale di trasferimento di valori basato sulle prestazioni e sull’onore di una vasta rete di mediatori, che permette la totale non tracciabilità delle somme in gioco. Un microcredito utilizzato non solo da Hamas, ma anche da altre organizzazioni terroristiche e dalle mafie.

     

    Ma ciò che desta scalpore è la rete creata dal presidente dell’Associazione Benefica di solidarietà per il popolo palestinese, e da tanti altre Onlus simili.

     

    “La politica estera italiana vive una fase complessa nei riguardi dei Paesi arabi, dal ruolo di capofila nella gestione dello scacchiere mediterraneo è divenuta sempre più comprimaria, lasciando spazio  regimi illiberali che continuano ad aprire e chiudere i rubinetti della crisi in tutta l’area. Questa fase è dovuta a molti fattori ma sicuramente ad un indebolimento della nostra classe politica, Hannoun era accolto da sottosegretari come Manlio Di Stefano e trova alleati anche meno imbarazzanti in molte famiglie politiche europee. Non solo per ignoranza, ma anche perché rimane in taluni ambienti la fascinazione figlia dell’epoca Arafat della causa palestinese. In modo semplicistico e iconico i palestinesi sono visti come “i partigiani” del Medio Oriente, quando in verità la classe politica che li ha governati è la più corrotta di tutto il mondo arabo”.

     

    La rete di Hannoun “è scientifica, creata con l’unico obiettivo di sedersi in tavoli importanti e dettare l’agenda non solo in Italia, infatti l’architetto è presidente di un associazione che federa tutte le realtà pro-Hamas in Europa”. Tra i contatti che saltano più all’occhio ci sono, oltre a quelli riportati nell’articolo pubblicato, personaggi come Stefano Fassina e membri della sinistra antagonista, oltre che altri membri del Movimento Cinque Stelle.

     

    “Il tema sollevato da questa inchiesta è soprattutto di sicurezza, non vorrei che l’Italia diventasse una sorta di porto economico franco per il terrorismo internazionale” spiega il giornalista. “Credo che sia necessaria una blacklist e un organismo di controllo a livello europeo, che funzioni sulla falsariga del rapporto che intercorre tra le varie intelligence, perché è impossibile che un associazione messa al bando in Austria (Miles Gorus ndr) possa edificare una moschea a Milano. Vivendo politiche di sicurezza comuni dobbiamo avere orizzonti comuni”. Solo in questo modo si potrà limitare questo fenomeno e non fare gli errori del passato.

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