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    La cosa che mi fa più male

    Cosa mi fa più male nel giorno della memoria? E’ di aver perso un’occasione. Quando eravamo ragazzini, noi della classe 1960, abbiamo avuto il privilegio di vivere in mezzo ai sopravvissuti, ai protagonisti di questa storia infame. Nessuno, però, ci diceva niente, nessuno ci spiegava quello che aveva subito. Forse, avevano paura di scioccarci, di causarci un trauma, ma invece ci hanno inflitto una grande perdita. Così non abbiamo avuto la possibilità di baciarli, abbracciarli, parlarci, confortarli e farci confortare. Avere con loro un rapporto sano, di sentire con le loro parole l’odore e i colori dell’orrore. Non abbiamo potuto ascoltare i racconti su ciò che era stato e invece l’abbiamo dovuto scoprire leggendo libri o guardando documentari e film. Era un silenzio malcelato, a casa non se ne parlava, a scuola si accennava appena, mentre le istituzioni per lo più ignoravano e tutto era grigio e buio come in una menzogna.

     

    Paradossalmente, quando la diga è crollata, quando i racconti sono ruzzolati pesanti come frane, su di noi è spuntato il sole. Abbiamo potuto capire perché la nostra bidella, che ci vendeva la pizza bianca a ricreazione, aveva quel numero celeste tatuato sul braccio e ci raccontava la bugia che era il telefono di casa per non dimenticarlo, abbiamo compreso perché si inventava una storia assurda per non raccontarci la verità. Un pudore rotto col trascorrere degli anni, quando la vita è diventata più normale, si sa che il tempo può essere medicina o veleno.

    Un veleno che non ha permesso ad alcuni di continuare a vivere, le storie erano incredibilmente atroci, era una sofferenza ascoltarle, figurarsi ad averle vissute, sopportate e a doverle ricordare.

    Se non si è sensibili, non si può capire quella sofferenza. Chi di noi non ha subito un trauma, un dispiacere, magari successo in un tempo remoto che ricorrentemente riaffiora dall’inconscio, che spaventa e si cerca di cancellare scuotendo la testa, ma che ormai ti divora dentro?

    Basta pensare a chi ha visto strapparsi via un nonno, una nonna, un padre, una madre, un figlio o una figlia, un fratello o una sorella, uno zio, una zia, un cugino, una cugina, un amico caro o un vicino di casa e con orrore aver saputo che ha patito tutto quello è stato: botte, freddo, fame, ingiustizie per poi finire in cenere. E con questo ricordo decidere di sopravvivere, non per sé stesso ma per noi.

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