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    L’insulto a Israele del presidente cileno

    Antisemitismo e mancanza di rispetto

    Uno dei tratti comuni
    all’antisemitismo, in tutti i tempi e sotto tutte le latitudini, è quello di
    non esercitare solo nei confronti degli ebrei odio e violenza, fino al genocidio,
    ma di cercare prima di distruggere il rispetto delle vittime attraverso atti
    simbolici di disprezzo, di atroce presa in giro e di disumanizzazione. Durante
    la “Notte dei cristalli” i nazisti costrinsero gli ebrei a buffonesche
    processioni, non molto diverse da quelle che a lungo durante il carnevale
    subirono gli ebrei di Roma ad opera del Papato; era pratica comune nei paesi
    del Maghreb accogliere a schiaffi gli ebrei che venivano a pagare la jiza, l’esosa
    tassa cui il Corano obbliga gli “infedeli protetti”, i dhimmi. Sulle chiese
    gotiche sono ancora visibili le “Judensau”, rappresentazioni degli ebrei che
    baciano il sedere di un maiale.

    Il caso cileno

    Bisogna pensare a questa orribile
    tradizione per capire il senso di quel che è avvenuto la settimana scorsa in
    Cile. È un fatto molto semplice e in apparenza privo di conseguenze importanti.
    In tutti gli stati gli ambasciatori stranieri, prima di entrare nel pieno della
    loro funzione, devono presentare al capo dello stato le loro credenziali, un
    documento ufficiale dello stato cui appartengono, che assegna loro la
    responsabilità di rappresentarlo. Prima che ciò avvenga, non solo ci devono
    essere relazioni diplomatiche fra i due stati, ma il nome del futuro
    ambasciatore viene reso noto al ministero degli esteri ospitante, che deve
    esprimere il suo gradimento. Si tratta dunque solo di una cerimonia ufficiale,
    non di un atto politico, che serve a sottolineare il rapporto fra i due stati e
    il ruolo speciale e l’immunità dell’ambasciatore. Così doveva avvenire a Santiago
    del Cile giovedì scorso. Il nuovo ambasciatore israeliano Gil Artzyeli doveva
    presentare le sue credenziali al presidente cileno Gabriel Boric, era stato
    convocato al palazzo presidenziale per la cerimonia ed era già lì, quando Boric
    si è improvvisamente rifiutato di riceverlo e di accettare le credenziali, rimandandolo
    all’ambasciata. Il pretesto per lo sgarbo era la morte di un giovane terrorista,
    Uday Trad Salah, 17 anni, di Kafr Dan, pochi chilometri a ovest di Jenin, che
    con altri suoi compagni aveva intrapreso uno scontro a fuoco con l’esercito
    israeliano per resistere all’arresto di un altro terrorista. Secondo un altro
    vecchio stereotipo antisemita, Boric aveva presentato la morte, armi in pugno,
    del terrorista come “assassinio di bambini palestinesi”.

    Il processo diplomatico

    La decisione di Boric è del tutto
    inedita nei rapporti fra stati, proprio perché interviene in un momento
    puramente formale. A rimediare l’insulto sono intervenute le diplomazie. Il
    ministero degli esteri cileno si è scusato con Artzyeli, l’ambasciatore cileno
    è stato convocato al ministero israeliano di Gerusalemme per ricevere una nota
    di protesta e anche in questo caso vi sono state delle scuse, alla fine si è
    deciso di “voltare pagina” (così ha detto Gil Artzyeli) e di tenere la
    cerimonia a ottobre. Ma vale la pena di approfondire la ragioni di questo
    deliberato oltraggio.

    La situazione cilena

    Il Cile è una nazione
    profondamente divisa. Boric è stato eletto un anno fa, con una maggioranza
    piuttosto risicata, in contrapposizione a un candidato di destra, José Antonio
    Kast. È un estremista di sinistra su tutti i temi, e in particolare un nemico
    dichiarato di Israele. Ricevendo l’omaggio della piccola comunità ebraica
    locale, ha detto di accettarlo, ma invitandola a rompere i rapporti e a
    condannare “lo stato razzista e assassino” che sarebbe Israele. Questo odio
    antisionista si spiega in parte con ragioni elettorali: il Cile è la sede di
    una notevole comunità tedesca di fuggitivi o nostalgici nazisti e anche di una
    significativa emigrazione di palestinesi, probabilmente la più numerosa del
    mondo. Ma non bisogna sottovalutare la base ideologica del suo atteggiamento.
    Boric, che ha solo 36 anni appartiene a quella generazione di militanti di
    sinistra di cui abbiamo visto qualche traccia notevole anche fra i candidati
    delle elezioni italiane, che ha perso ogni ritegno legato alla Shoà ed esprime
    un odio per lo stato ebraico che si estende chiaramente agli ebrei. Questo
    antisemitismo di sinistra non cancella naturalmente quello di destra, ma è oggi
    probabilmente il più pericoloso. L’estremismo di Boric è stato probabilmente
    esasperato da una grave sconfitta politica da lui subita pochi giorni fa, il 4
    settembre, quando un progetto di nuova costituzione per il paese, fortemente
    caratterizzata in senso “rivoluzionario”, è stata respinta da un referendum con
    ampio margine (62% contro 38%). Incapace di realizzare il suo progetto
    ultrasinistro, Boric ha voluto forse mobilitare i suoi sostenitori con un
    eclatante gesto antisionista e anche chiaramente antisemita.

     

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