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    Perché il coronavirus sta infettando il regime iraniano

    L’Iran è il paese al mondo dove l’epidemia può creare i danni maggiori, in termini di vite umane e in termini economici. E dove non sono riuscite le sanzioni imposte da Donald Trump potrebbe arrivare il coronavirus. L’intento del presidente americano è noto: piegare la Repubblica islamica colpendone il tessuto economico per poi costringerla a cedere a nuovi negoziati. Le dure sanzioni fin qui non erano riuscite a piegare l’economia iraniana che, seppur finita in una profonda recessione (-9% nel 2019) aveva tenuto grazie a un vivace mercanto interno, alle triangolazioni con paesi vicini, su tutti gli Emirati Arabi, e agli aiuti della Cina. Ora questo virus aggressivo e contagiosissimo unito alle sanzioni può essere il detonatore economico.

    Per quanto riguarda il presente, anche se il settore sanitario non è sottoposto alle sanzioni, l’Iran non può comunque più accedere ai mercati finanziari e dunque ha maggiore difficoltà a rifornirsi di materiale medico dall’estero. E anche per questo la situazione nel paese si fa sempre più drammatica. In primo momento Teheran aveva nascosto la gravità della situazione. Già a fine febbraio, quando si registravano migliaia di casi, era diffuso il sospettare che il regime stesse nascondendo i numeri reali sui contagiati e soprattutto sui morti. Da alcune immagini satellitari ottenute due settimane fa dal New York Times, sembra che già alla fine di febbraio nel cimitero di Qom siano state scavate delle fosse comuni, cosa che fa pensare che le autorità locali si fossero rese conto da subito dei numeri reali del contagio.

    Settimana dopo settimana i numeri si sono fatti sempre più pesanti. 

    Per far fronte all’emergenza nelle carceri già sovraffollate, il 17 marzo il governo ha deciso il rilascio temporaneo di 85.000 detenuti, tra cui almeno dieci prigionieri politici. Il 19 marzo Kianoush Jahanpour, portavoce del ministro iraniano della Salute, ha dichiarato che «ogni dieci minuti, in Iran una persona muore a causa del coronavirus e ogni ora si contano 50 nuovi contagi». Cifre impressionanti, ma che diventano ancora più spaventose se s’ipotizza, come ha fatto Rick Brennan, direttore dell’ufficio regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che «il numero di casi riportati dalle fonti ufficiali potrebbe essere soltanto un quinto di quelli reali».

    Le finanze pubbliche già pesantemente provate non sembrano in grado di offrire un supporto reale per arginare l’emergenza né tanto meno per supportare l’economia nell’immediato e poi per farla ripartire. Le misure annunciate dal presidente Hassan Rouhani – rinvio di tre mesi del pagamento di tasse, bollette, e sussidi ai più poveri – appaiono inadeguate alla situazione. È così che si comprende la richiesta – storica per Teheran – di cinque miliardi di euro d’aiuti al Fondo Monetario Internazionale. Una richiesta che può avere conseguenze imprevedibili per il regime iraniano. Perché richiedere l’aiuto del Fmi implica una cessione di una parte della propria sovranità. Al prestito si lega un piano di rientro concordato e costantemente monitorato che, sul piano pratico, si traduce nella presenza costante degli ispettori del Fondo a Teheran, i quali devono vagliare ogni capitolo di spesa. Il che, ad esempio, costringerebbe il regime a bloccare il flusso di denaro con cui i Pasdaran finanziano i gruppi politici armati. Sarà interessante capire quindi se Trump deciderà di bloccare o autorizzare il prestito chiesto al Fmi. Permetterlo potrebbe essere un modo per gli Usa per avere potere e controllo sul regime. Così, in uno scenario mondiale sconvolto dalla pandemia, il caso dell’Iran appare unico, perché qui la crisi sanitaria s’intreccia con una crisi geopolitica dai risvolti imprevedibili.

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