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    Processo ex guardiano Ss, "sentivo le urla dalle camere a gas"

    “Li vedevo portare nelle camere da gas, vedevo sbarrare la porta e dopo sentivo urla e rumori sordi”. E’ il momento piu’ drammatico della deposizione di Bruno Dey, un ex guardiano delle Ss del campo di concentramento di Stutthof, oggi 93enne, imputato in un processo in corso ad Amburgo. Rispondendo alle domande della giudice Anne Meier-Goring, l’uomo ha aggiunto: “Non sapevo che i deportati venivano gasati”. L’ex guardiano era di stanza al lager nazista presso Danzica dal 9 agosto 1944 e il 26 aprile 1945. Dato che all’epoca aveva tra i 17 e i 18 anni, Bruno Dey viene adesso processato dalla sezione minorile del tribunale amburghese. L’accusa lo ritiene complice di omicidio in 5230 casi: in sostanza, nel suo ruolo, avrebbe “sostenuto la perfida e crudele uccisione dei deportati, in particolare degli ebrei“. Tra i suoi compiti principali, quelli di “impedire la fuga, la rivolte e la liberazione” dei deportati, afferma ancora la Procura. In particolare, l’anziano alla sbarra ricorda di aver visto “20 o 30 prigionieri” mentre venivano trasferiti nella camera da gas. “Non sono in grado di dire se quelle persone erano uomini o donne, perche’ a tutti i prigionieri i capelli erano stati rapati a zero”, ha raccontato ancora l’ex guardiano delle Ss. “Ma so dire cos’e’ successo dopo, perche’ non ho visto uscire nessuno”. Alla sua sua prima apparizione in aula, lunedi’ scorso, Bruno D. aveva dichiarato “quanto gli dispiace” quello che e’ accaduto alle persone nel lager di Sutthof, presso Danzica. “Non ero andato volontario a prestare il mio servizio militare, e non potevo aiutare i prigionieri. Ero stato costretto. Me le immagini di quel campo mi hanno perseguitato per tutta la vita”. 

    L’ex guardiano Ss afferma di non esser stato mandato al fronte a causa di un piccolo difetto cardiaco, motivo per cui in sei settimane aveva ricevuto un addestramento da guardiano. “Sapevo che chi era li’ non aveva compiuto niente di criminale”, ha aggiunto Bruno Dey. “Era crudele quello che si vedeva li’. Ho visto molti cadaveri”. Molte di quelle immagini le ha scacciate dalla sua memoria, racconta l’ex guardiano, “ma quelle crudelta’ vengono ora risvegliate in me da questo processo”. “Non ho mai fatto uso della mia pistola durante il mio periodo al lager di Stutthof”, ha sostenuto Bruno Dey durante la prima deposizione. “Anzi, una volta ha aiutato alcuni deportati”, nonostante il rischio di una punizione molto dura. “Dovevo accompagnare diversi uomini per una missione fuori dal campo. Dietro un cespuglio prigionieri avevano trovato la carcassa di un cavallo. Mi chiesero se potevano tagliare un pezzo della sua carne. Gli permisi di portarne un po’ di nascosto nel campo. Non avrei potuto dar loro da mangiare. Non potevamo avere contatto con quelli la’”. Ad un certo punto, l’imputato 93enne ha detto che quando e’ stato nudo davanti al medico per la visita militare, si e’ “sentito nudo come i deportati nel campo di concentramento”. Affermazione alla quale la giudice ha reagito con durezza: “Ma lei si rende conto che questo confronto e’ del tutto inadeguato, che e’ uno schiaffo ai sopravvissuti?”. Dopo la guerra, Bruno Dey si sposo’, ha avuto figli e intraprese la professione di fornaio. 

    Se oggi i giudici possono processarlo è grazie al caso John Demjanjuk del 2011: il boia di Treblinka fu condannato dal tribunale di Monaco senza prove dirette di omicidio, fu ritenuto complice dello sterminio per il semplice fatto di aver lavorato nel campo. Con quella condanna è passata finalmente la tesi che chi avesse partecipato anche indirettamente alla macchina della morte dei nazisti, allo sterminio pianificato, non potesse dirsi innocente. La procura di Amburgo accusa Bruno Dey, non a caso, di essere stato una “rotella nell’ingranaggio”. Dal processo a Demjanjuk la giustizia tedesca si è rimessa in moto e sta trascinando davanti alla sbarra – con un ritardo di decenni – gli ultimi carnefici nazisti ancora in vita.

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