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    Quarant’anni fa l’attentato a Rue de Rosiers. Zone d’ombra, le responsabilità e la mancata giustizia

    È il 9 agosto del 1982. Siamo in una piena estate parigina. Nel quartiere ebraico del Marais, a Rue de Rosiers, il ristorante kasher Jo Goldenberg lo conoscono tutti. È un posto molto popolare, frequentato anche da intellettuali, politici, artisti. È l’ora di pranzo, sono le 13.15 quando un gruppo di terroristi palestinesi facenti capo ad Abu Nidal entra nel locale e lancia una granata, poi spara sui clienti e sul personale del ristorante. Prima di fuggire i terroristi chiudono l’attentato con un’altra bomba. In tre minuti, restano a terra sei morti e ventidue feriti. Non è il primo attentato contro gli ebrei in Europa, ma l’ultimo di una lunga serie. Proprio a Parigi due anni prima era stata colpita la sinagoga di Rue Copernic, bilancio quattro morti e quarantasei feriti. Ma gli attentatori non si fermeranno alla Francia. Due mesi dopo, il 9 ottobre del 1982, i terroristi palestinesi colpiranno la sinagoga di Roma, uccidendo il piccolo Stefano Gaj Tachè e lasciando a terra circa quaranta feriti.

     

    Nel cuore della Parigi ebraica subito dopo l’attentato scoppia la rabbia, assieme alla disperazione. Trova le sue ragioni nella politica della Francia dell’epoca, come ricorda il Rabbino Alain Lévi, testimone dell’attacco terroristico di Rue de Rosiers, in una recente intervista a Shalom. «La sera del 9 agosto ‘82 ci fu una funzione alla Grand Sinagogue e volle partecipare anche il Presidente Mitterand, che fra l’altro era stato talvolta cliente di Goldenberg. – spiega Lévy – Ma la sua presenza fu rifiutata, gli ebrei di Parigi legarono l’attentato alla politica della Francia diretta da lui. C’era la guerra del Libano in quel momento. La posizione francese era molto sbilanciata in senso anti-israeliano e filo-arabo. La Francia si mobilitò molto in quel momento per ottenere l’incolumità di Arafat e sottrarlo all’assedio». Anche a Roma, due mesi dopo, quando un gruppo di fuoco palestinese colpisce gli ebrei, esplode la rabbia per le stesse ragioni. E per le stesse ragioni, ricordiamo, il Presidente Sandro Pertini è accolto da un silenzio assoluto al funerale di Stefano Gaj Tachè.

     

    Nel 2020 Walid Abdulrahman Abou Zayed, sospettato di essere uno degli autori della strage di Rue de Rosiers, è stato estradato dalla Norvegia, adesso è in carcere a Parigi in attesa di essere processato. Altre tre persone sospettate sono in Giordania e Cisgiordania, che ne rifiutano, per ora, l’estradizione. Come non è stata concessa dalla Grecia quella di Al Zomar, l’unico terrorista identificato, processato in contumacia, e condannato per l’attacco alla sinagoga di Roma.

    Ci sono zone d’ombra e analogie tra gli attentati di Parigi e Roma. Le loro storie, come rivelato da alcuni quotidiani italiani nei mesi scorsi, si sovrappongono, condividendo forse la stessa mano assassina. Le armi usate e le modalità dei due attacchi sarebbero le stesse. Abou Zayed, secondo gli investigatori di Oltralpe, potrebbe essere stato anche parte del commando di terroristi palestinesi che colpì la sinagoga di Roma. Le procure di Parigi e Piazzale Clodio indagano su questa pista. Alcune fonti, riportate dai giornali, sostengono inoltre che in Francia ci fosse un accordo segreto tra i servizi e i terroristi palestinesi, lasciati liberi di passare per il paese, a patto di non colpire i francesi. Ma evidentemente, anche questa volta, come sarebbe accaduto con il presunto lodo Moro, gli ebrei non sono considerati come parte della nazione.

     

    Sono 40 anni che gli ebrei di Parigi, come quelli di Roma, chiedono giustizia. Alla cerimonia dell’ottantesimo anniversario della retata del Velodromo d’Inverno il Presidente Emmauel Macron ha ribadito la determinazione della Francia nella lotta all’antisemitismo. Il legale delle famiglie delle vittime dell’attentato a Rue des Rosiers, Alain Jakubowicz, lamenta di non saper nulla sull’estradizione dei presunti responsabili, e che chi è stato colpito nell’attacco, ancora non è riconosciuto dallo Stato come vittima del terrorismo. La sua speranza, come la nostra, è che le parole del Presidente Macron si traducano in azione, in giustizia, dopo 40 anni di attesa.

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