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SPECIALE PESACH 5784

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    Shabbath Zachor – Un invito alla riflessione

    Questo shabbath che
    precede la festa di Purim si chiama “Shabbath Zachor”, il Sabato del ricordo. In
    questo sabato c’è l’obbligo di ricordare quello che ci ha fatto Amaleq nel
    momento dell’uscita dall’Egitto, quando gli ebrei erano provati e
    affaticati e questo nemico per eccellenza del popolo ebraico andò a colpire i più
    deboli rimasti indietro.

    L’halachà ci insegna
    che questo brano va ascoltato nella lettura pubblica nel Beth Hakneset e
    riguarda tutti, uomini e donne. Sarebbe molto bello vedere le sinagoghe piene
    per adempiere a questo precetto, ma soprattutto per riflettere sui tanti
    significati di questo brano.

    Potremmo chiamarlo
    anche il “Sabato dei due ricordi”. Difatti il verbo “zachor”, “ricorda”, nella
    Torà è usato per questo precetto, ma è usato anche nei dieci comandamenti per
    la mitzvà dello shabbath: “Zachor et yom ha shabbath le kadeshò”, ricorda il
    giorno del sabato per santificarlo.

    Sono due ricordi ben
    distinti, uno positivo, quello dello Shabbath, l’altro negativo, per “…cancellare
    il ricordo di Amaleq…”.

    Se analizziamo
    brevemente i due precetti, notiamo immediatamente delle macroscopiche
    differenze.

    Lo shabbath, precetto
    fondamentale dell’identità ebraica, in cui la famiglia si riunisce a casa e al
    tempio. A casa si discute mentre si mangia e si beve, ci si confronta su idee
    diverse, ma lo spirito dello shabbath pervade le nostre anime e si rimane uniti
    in allegria, in alcuni casi “abbozzando”, come si dice a Roma, su alcune cose
    per far prevalere l’unità e l’armonia. D’altronde il Talmud ci insegna che il
    confronto civile e rispettoso dell’altro ha rappresentato dai tempi antichi la
    vera freschezza e ricchezza del pensiero ebraico!

    L’altro ricordo è
    quello distruttivo di Amaleq. Se esaminiamo bene le parole ci rendiamo conto
    del perché sia stato scelto proprio questo brano per ricordarci del nostro
    nemico. Eppure nei racconti biblici di nemici del popolo ebraico ce ne sono
    molti! I termini di questo racconto sono fondamentali e ci insegnano che sono
    validi per tutte le generazioni.

    Il testo dice: “Ricorda
    quello che ti ha fatto Amaleq….. che ti è capitato per
    strada…..”

    Il termine ebraico
    “Karechà” che viene tradotto generalmente “ti è capitato” si può interpretare
    anche “che ti ha raffreddato”, ovvero che ha raffreddato l’entusiasmo di
    chi aveva  vissuto i prodigi che D.o aveva fatto in Egitto per renderli
    liberi.  E chi colpisce? Quelli che erano rimasti indietro e che erano
    stanchi.

    Quante volte nella
    storia del nostro popolo abbiamo visto che i nostri nemici hanno fatto presa
    sulle persone più lontane, rimaste indietro rispetto ai principi dell’identità
    ebraica! Sono quelli che vengono sempre individuati come una facile preda, sono
    quelli che poi fanno più male.

    Questo brano si trova
    nella parashà di “Ki tezzè”. Le prime parole di questa parashà dicono: “Quando
    uscirai in guerra contro il tuo nemico….”.

    Lo Zohar dice che non
    si tratta di un nemico fisico, ma dello yezzer harà, il nostro istinto cattivo,
    che ci porta a vedere in modo malevolo anche le persone a noi vicine, ai nostri
    fratelli, alle nostre sorelle.

    Quell’istinto cattivo
    che ci allontana dai nostri valori fondamentali per portarci verso dinamiche
    molte volte estranee alle regole plurimillenarie che ci hanno permesso di
    arrivare fin qui.

    Spero che in molti
    questo Shabbath accorrano nei tanti Battè hakneseth della nostra comunità, che
    ascoltino con attenzione e riflettano su questi profondi insegnamenti per
    riuscire ad annientare questo nemico che nell’arco della nostra storia ha
    tentato di dividerci, molte volte riuscendoci, per cui ne abbiamo pagato un
    prezzo molto alto.

    Facciamo prevalere il
    primo Zachor, quello dello Shabbath, della santificazione di D.o, dello
    Shabbath, delle nostre famiglie, ma fondamentalmente del popolo ebraico,
    mantenendo quell’unità che ci ha fatto meritare la Manifestazione Divina sotto
    il Monte Sinai.

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