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    Squid game e non solo, il web amico e nemico dei nostri ragazzi

    Fino agli anni ‘70 i genitori avevano una certezza: “Dopo Carosello, tutti a letto”. La sera, dunque, la televisione diventava per adulti che si godevano telegiornali, programmi e film sconsigliabili per i minori. Adesso la tv in chiaro è un mondo anacronistico per i giovani, Carosello è finito nel dimenticatoio e tutto è disponibile sul telefonino, dai giochi alle serie tv. Nasce quindi la necessità di controllare i contenuti di cui usufruiscono i nostri ragazzi, soprattutto dopo l’ultimo caso “Squid Game”. Recentemente, gli alunni di alcune scuole sono stati sorpresi a emulare il gioco del calamaro, in inglese appunto squid game, una sorta di campana sudcoreana rivisitata in modo violento nella serie tv Netflix ambientata in un mondo distopico e che si rifà anche ad un videogame molto popolare tra i giovani. In breve, i ragazzi si chiudevano in classe e se le menavano di santa ragione. Come è possibile frenare questa deriva? E come è pensabile che dei bambini abbiano accesso ad una serie tv vietata ai minori di 14 anni? Ne parliamo con Iside Castagnola, membro del Comitato Media e Minori presso il Ministero dello Sviluppo Economico. «Per fermare questa deriva occorre vigilanza e maggiore presenza dei genitori nella vita virtuale dei ragazzi, insomma bisogna esserci e riguardo l’accessibilità ai contenuti impropri, credo che l’unico modo di impedirne l’accesso sia l’obbligo d’installazione per le aziende di sistemi di “ageverification”, ovvero verifica dell’età anagrafica».

    Partiamo quindi dall’inizio, dal web, uno strumento di cui non si può fare a meno, ma che comporta anche molti rischi che per Castagnola è meglio elencare per fare chiarezza. «I maggiori rischi che i nostri ragazzi corrono sul web sono di tipo sociale e legale. Il principale è quello della dipendenza: soltanto in Italia abbiamo 125mila ragazzi autoreclusi, il Papa li ha chiamati eremiti sociali, che non distinguono più la vita reale da quella virtuale. Per uscire da queste situazioni limite, al Policlinico Gemelli è stato istituito un protocollo interistituzionale dove si presta assistenza sia al ragazzo che all’intera famiglia». Ma il pericolo corre ogni giorno anche semplicemente attraverso videogame dall’apparenza innocua. «Il rischio – spiega Castagnola – è quello dell’adescamento online che riguarda anche i più piccoli. Secondo la Polizia postale, può avvenire anche attraverso i giochi più comuni, come Clash Royale, che presentano delle chat aperte». Attenzione, poi, all’uso smodato del telefonino durante la notte. «Si chiama vamping, navigazione notturna su internet: sono soggetti a questo fenomeno il 7% dei ragazzi, con conseguenze di abbassamento del rendimento scolastico, disattenzione, problemi fisici». Ci sono poi le vere e proprie truffe. «Gli adolescenti incappano nella pubblicità ingannevole, che le mail che promettono premi, e diventano vittime di un tentativo di phishing, del furto dei dati o anche dell’identità digitale». Come se non bastasse, arriviamo al sexting, lo scambio di messaggi dal contenuto intimo. «Alle volte sono i ragazzi che si scambiano foto in atteggiamenti intimi, ma quando ciò avviene con persone più adulte molte volte può sfociare nel fenomeno del sex extortion, ovvero la richiesta della dazione di denaro».

    C’è sempre, però, la possibilità e il dovere di intervenire per questo è importante che i genitori vigilino e si accorgano per tempo se c’è qualcosa che non va. Per Castagnola, «bisogna sviluppare fin dalla più tenera età dei ragazzi, una forma di dialogo costante e quotidiana. Così, come i nostri genitori ci chiedevano come è andata a scuola, chi hai incontrato in piazzetta, i genitori di oggi non dovrebbero limitarsi a chiedere come è andata a scuola, sei stato interrogato, ma sarebbe importante concedersi del tempo e chiedere anche chi hanno incontrato nella loro giornata virtuale perché dobbiamo renderci conto che la vita virtuale è parte integrante della loro vita reale. Bisogna poi insegnare a distinguere nettamente un’amicizia virtuale, che può essere illusoria, dalla vita reale e dalle amicizie vere e far sviluppare concetti come comunità, empatia, rispetto. I funzionari della polizia postale hanno scrivanie piene di denunce per diffamazioni, minacce fra i genitori che hanno i figli nella stessa classe. Bisogna ripartire dal valore del rispetto delle persone, dei coetanei della vita reale che si riflette nella vita virtuale». 

    Riguardo all’uso del telefonino, è importante ricordare delle regole. «In conformità al GDPR , cioè il regolamento europeo sui dati personali, è illegale che un ragazzino al di sotto dei 13 anni abbia un account Instagram, Facebook, TikTok. È stato gravissimo quello che è accaduto ad Antonella, la ragazzina di Palermo morta suicida che a 10 anni aveva 10 account di TikTok». Dobbiamo affrontare questa emergenza sociale. «Purtroppo – spiega l’avvocato Castagnola – è sempre più facile incappare in questi siti internet che istigano al suicidio. Su questo è importante da cittadini, da genitori, da studenti segnalare tutto anche tramite l’app istituita dalla polizia postale, Youpol, facilmente scaricabile nei telefonini. La segnalazione è anonima e si possono denunciare siti pedopornografici, comportamenti di cyberbullismo ed i reati più vari. È un’importantissima informazione da dare perché i ragazzi devono poter segnalare i reati di cui sono stati testimoni o vittime». Altro capitolo è quello della nuova comunicazione ai media. «È ormai la nuova educazione civica. È importante far capire ai ragazzi che tutto ciò che postano rimane per sempre sul web. I post su internet creano la reputazione online che avrà gravi ripercussioni in caso di foto compromettenti e potrebbero avere ripercussioni sulla vita lavorativa per i decenni a seguire. È necessario difendere la reputazione on line sin da ragazzi. Come diceva il grande giurista Rodotà: siate custodi della vostra privacy». Ma come far staccare i ragazzi dagli smartphone? «Bisogna creare alternative allettanti al tempo trascorso sul cellulare. Secondo gli studi dei pediatri del Bambin Gesù, si può sfuggire alla dipendenza da internet ad esempio con la pratica dello sport o dell’attività teatrale. Lo sport praticato fin da piccoli, anche con i propri familiari nelle ville comunali, fa capire l’importanza del rispetto delle regole e del proprio avversario». 

    I pericoli sul web sono molteplici: il cyberbullismo che può sfociare alcune volte in insulti di odio anche a sfondo razziale. Secondo Castagnola, «l’hate speech, ovvero le parole di odio, sono un tema ricorrente. Appena ci si rende conto che un ragazzo è vittima di discriminazione, bisogna segnalarlo agli insegnanti, ai genitori o all’app Youpol. In Germania, dove ci sono stati gravi implicazioni razziste rispetto alla religione e alle falsità su Auschwitz, la legge è severissima: chiusura del sito con multe sino a 50 milioni di euro. È importantissimo segnalare la persona che compie una diffamazione o una minacciaperché le parole sono pietre! È dovere di ogni cittadino la segnalazione, questo è il primo passo utile per proteggere le persone. Dobbiamo fermare le gogne mediatiche ed ecco perché il cyberbullismo è più grave alle volte del bullismo perché il messaggio viene amplificato in rete e non si riesce più a fermare».

    «Altra questione è lo scambio di età, il cosiddetto age swapping. I ragazzini per poter accedere a determinati siti decidono di contraffare l’età anagrafica. Per arginare il fenomeno, i genitori devono installare il parental control per controllare le applicazioni usate dai figli. Bisogna che le piattaforme abbiano efficienti sistemi di age verification. I bambini al di sotto di una certa età non devono accedere a certi siti o chat dal contenuto negativo per la loro buona crescita psicofisica». Ma come può riuscire un genitore a capire che il proprio figlio è soggetto a cyberbullismo e come si può aiutarlo? «È importantissimo essere costruttivi e non soltanto punitivi. Bisogna farsi aiutare dallo psicologo scolastico e dagli insegnanti sia nel caso in cui sia stato vittima sia qualora sia stato lui l’autore degli atti di cyberbullismo. Bisogna avere grande umiltà e spirito di collaborazione, il ragazzo si aiuta solamente facendo squadra e colmando il gap affettivo e culturale che è sfociato nel cyberbullismo. È importante denunciare perché il cyberbullismo non ha mai una fine naturale, ma nella maggior parte dei casi gli atti hanno fine soltantodopo la denuncia. La legge n.71 del 2017 prevede l’ammonimento davanti al questore dove si studiano situazioni riparative, che possono portare il ragazzo che ha compiuto cyberbullismo, ad esempio, a fare volontariato quotidianamente, a svolgere attività di pulizia a scuola, ad aiutare i ragazzi disabili nel doposcuola. È importante sviluppare nel ragazzo il rispetto, l’empatia e la solidarietà verso i più fragili, solamente in questo modo possiamo fronteggiare il fenomeno dilagante del cyberbullismo».

    Parliamo di accuse o insulti che i nostri ragazzi potrebbero avere in quanto di religione ebraica. Cosa fare in questo caso? «C’è un’escalation. Non bisogna assolutamente sottovalutare il fenomeno, ma non ci illudiamo che le parole d’odio contro gli ebrei si possano combattere con le punizioni. È invece essenziale spiegare quella che è stata la storia triste del nostro Paese. Aggiornare e monitorare lo svolgimento dei programmi scolastici, capita sempre più spesso che i nostri ragazzi finiscano il programma di storia con la Prima guerra mondiale e non conoscano gli anni del fascismo e della persecuzione ebraica. La cultura è l’unico antidoto, non possiamo accettare che i ragazzi italiani non conoscano pezzi di storia così dolorosi, ma importanti».

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