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    ”Storie di rinascita: gli ebrei di Libia” – dall’esodo del 1967 ad oggi: Intervista a David Gerbi

    Nel giugno 2014, il Parlamento israeliano designò il 30 novembre come la Giornata in ricordo degli 850.000 ebrei cacciati dagli Stati arabi e dall’Iran durante il ventesimo secolo. Un esodo drammatico, che costrinse migliaia di famiglie a dover lasciare le proprie abitazioni, sinagoghe e beni, ledendo lo spirito di appartenenza che li aveva legati fino a quel momento alla terra d’origine. 

     

    Questa settimana, a iniziare da oggi, quegli stessi ebrei potranno testimoniare le proprie esperienze al Convegno “Storie di rinascita: ebrei di Libia” organizzato a Roma da ASTREL, Associazione Salvaguardia Tradizioni e Retaggio Ebrei di Libia, presieduta da David Gerbi, che a Shalom ha raccontato: ”Sono storie di rinascita in libertà, perché in Libia non eravamo né liberi né indipendenti. Eravamo considerati cittadini Dhimmi, di seconda classe, e venivamo sempre tenuti sotto controllo”.

     

    La comunità ebraica libica è una tra le più antiche e radicate del continente africano, che risale a 2500 anni fa. Sinagoghe, attività commerciali, personaggi influenti, gli ebrei erano perfettamente integrati nel paese, ma con l’avvento della Seconda guerra mondiale, prima, e la nascita d’Israele, dopo, tutto cambiò. “Durante la Shoah abbiamo avuto 712 vittime, 562 delle quali vennero deportate nel campo di concentramento di Giado. Molti finirono nei campi di sterminio di Auschwitz e Bergen Belsen”.

     

    Poi ci furono i pogrom del ‘45, ‘48 ed infine del 1967 con l’esodo finale dovuto all’inizio della Guerra dei sei giorni. Un passo della storia entrato per sempre nella memoria collettiva. Fu l’evento traumatico che segnò il definitivo strappo con uno Stato considerato, fino a quel momento, terra d’appartenenza. La folla si riversò nelle strade al grido di “morte agli ebrei”, i negozi furono incendiati ed i cimiteri rasi al suolo. Ci fu chi tentò di aiutare, ma la paura di essere scoperti e condannati come traditori fece desistere la maggior parte di loro. L’antisemitismo, esplicito e dormiente, trovò occasione per sfogarsi nei confronti di un popolo che negli anni aveva avuto la capacità di costruire solide basi e dare lavoro a molte persone. Addirittura, la famiglia Nahum “era talmente tanto prestigiosa, che il governatore di Libia diceva che bisognasse Snahumizzare Tripoli”.

     

    Già la proclamazione d’Israele aveva fortemente scosso le acque, ma molti “pur di preservare tutto ciò che avevano costruito in un’intera vita, non vollero vedere la realtà che stava peggiorando”. La vittoria sugli arabi nel ‘67 segnò il punto di non ritorno: gli ebrei non erano i benvenuti e dovevano andare via.

     

    “C’era il coprifuoco e non c’era da mangiare. Alcuni vicini, arabi e cristiani, ci aiutarono ma poi smisero per paura di ritorsioni. Il governo voleva costringerci ad uscire fuori, stanarci ed ucciderci. L’allora presidente della Comunità si impegnò col Re Idris affinché ci desse il permesso di andare via. Non importava nemmeno più del fatto che potessimo fuggire solo con 20 sterline ed una valigia di cartone: tra il rischio di morire restando, e quello di salvarsi andando via, la scelta non poteva che essere la vita. Perché noi siamo il popolo della vita”. Di questo ne erano a conoscenza i vertici libanesi, che con la cacciata degli ebrei avrebbero avuto carta bianca per impossessarsi delle loro botteghe, dei capitali, degli immobili e persino delle professioni vacanti.

     

    L’esodo portò quindi gli ebrei a spostarsi nel mondo ed anche in Italia, in particolare a Roma dove iniziò la rinascita che dà il titolo all’evento. “Rinascita in libertà, perché qui abbiamo potuto esprimerci liberamente. C’è stato un clima di democrazia, una comunità ebraica romana che usciva dalla Shoah e che anch’essa si stava ricostruendo con dolore e difficoltà. Siamo stati ben accolti ed abbiamo portato quanto accumulato in duemila e passa anni di storia e tradizione”.

     

    Una ripartenza difficile che progrediva parallelamente a quella degli ebrei romani. L’intreccio fra le due comunità fu la chiave vincente che permise di andare avanti, grazie anche ai primi matrimoni fra romani e tripolini.

     

    Quest’anno il Convegno in ricordo dei profughi cade nel giorno di Hanukkah, perciò si chiama “I miracoli degli ebrei di Libia”, perché “passare dalla condizione di profugo, a vedere che oggi ci siano ebrei libici imprenditori, avvocati, studiosi, accademici e giornalisti è un riscatto ed un miracolo”.

     

    Per ricostruire le pagine di questo capitolo della storia, David Gerbi ha intervistato nel tempo sessanta ebrei libici, i cui racconti sono stati depositati in Israele presso il Museum of the Jewish People. L’idea di dare voce agli altri, però, nasce da un sogno fatto molto tempo fa. “Sono uno psicanalista e, tra le varie cose, mi occupo anche di sogni. Faccio dei corsi di interpretazione e addirittura la mia tesi è stata dedicata al sogno biblico di Giuseppe. Dalla sua storia impariamo che i sogni si possono realizzare entro ventidue anni. Io ne feci uno nel 2002: sognai la mia bocca con tante bocche dentro. Con le interviste che faccio agli ebrei libici per ricostruire le storie, sto diventando la bocca per le altre bocche. Così, anche il Convegno acquisisce questo significato, quello di dare voce agli altri. Sono ancora nell’arco dei ventidue anni, e forse quel sogno si sta realizzando. L’esigenza nasce anche dal fatto che molti degli ebrei che vissero quell’esodo – e che quindi lo ricordano nitidamente – stanno scomparendo, perciò ho ritenuto importante che si possano esprimere”.

     

    ASTREL, che organizza l’evento, è un’associazione volontaria no-profit, nata quest’anno dopo la notizia proveniente dalla Libia che l’ultima sinagoga di Tripoli sarebbe diventata un centro di studi islamici o una moschea. “Mi sono battuto moltissimo affinché non accadesse. Ho collaborato con l’Ambasciata americana, italiana, spagnola e francese che mi hanno molto aiutato, ed alla fine hanno fermato i lavori”. 

     

    Tra i vari obiettivi, oltre quello di promuovere la cultura ebraica libica, c’è quello di raccogliere i nomi degli ebrei sepolti nei cimiteri dissacrati in Libia e di inserirli in un cimitero virtuale. “L’idea nasce tempo fa, in uno dei miei viaggi a Tripoli, dove mi capitò di vedere il cimitero ebraico disastrato. Fu un’immagine che mi cambiò la vita, perseguitandomi per anni. Tutto era raso al suolo, le ossa che uscivano fuori ed i bambini che ci giocavano”. All’evento si avrà infatti possibilità di rilasciare i nomi dei propri parenti sepolti, che saranno poi aggiunti anche in una lapide che verrà depositata presso il Cimitero del Verano di Roma nel 2022.

     

    Il Convegno arriva dopo un’intensa attività di Gerbi nelle scuole ebraiche, dove ha riscosso un enorme interesse da parte dei ragazzi, che hanno anche chiesto di dedicare del tempo scolastico allo studio della storia ebraica libica. Un’occasione che permetterebbe ulteriormente di unire culture diverse, che vivono gli stessi quartieri e gli stessi templi.

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