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    Sul delatore di Anna Frank un solo documento per un’ipotesi debole

    É recente la notizia che un team di ricercatori avrebbe identificato il responsabile della delazione che portò alla scoperta dell’appartamento segreto in cui viveva la famiglia Frank, che ebbe come conseguenza la deportazione e la morte di quasi tutti i suoi membri. L’unico sopravvissuto fu infatti il padre.

     

    La ricerca del team, durata sei anni, è stata guidata da un agente dell’FBI in pensione, e i risultati sono apparsi in un volume pubblicato dalla canadese Rosemary Sullivan, con il titolo The Betrayal of Anne Frank.

     

    Secondo il team di ricercatori, colpevole del tradimento fu un notaio ebreo, Arnold van den Bergh, membro del Consiglio Ebraico. Ora: non è una novità che in non pochi casi i membri di tali “consigli” (creati dai nazisti con lo scopo di illudere e quindi controllare meglio le proprie vittime) collaborarono in qualche misura con membri della Gestapo e in generale con coloro ai quali era affidata la gestione del “problema ebraico”. Ma è anche vero che spesso di tali collaborazioni è rimasta traccia scritta: il tentativo, man mano che gli Alleati avanzavano verso la Germania, di eliminare i documenti relativi a quanto accaduto nei ghetti e nei campi di sterminio non furono sempre coronati da successo.

     

    Nel caso specifico, però, l’unico documento che avvalorerebbe la tesi di un tradimento “interno” è una lettera anonima, inviata ad Otto Frank nel 1945, al suo ritorno ad Amsterdam. Una lettera scarna, in cui si affermava che il luogo in cui era nascosta la famiglia Frank era stato condiviso con la Central Agency for Jewish Emigration di Amsterdam da van der Bergh, il quale dunque ne era perfettamente a conoscenza. Il quotidiano Het Parool riporta che la lettera sarebbe stata consegnata ad un ricercatore nel 1963; riferisce inoltre che Otto Frank aveva sempre sostenuto che la delazione era stata opera di un ebreo, senza però fare nomi.

     

    Esistono per altro teorie diverse su chi avrebbe tradito i Frank: recentemente (2015) uno studio ha proposto il nome di Nelly Voskuijl, nipote di un membro della Resistenza olandese, che aiutava gli ebrei che si erano nascosti e conosceva dunque il rifugio segreto della famiglia; un anno dopo (2016) è stato pubblicato uno studio nel quale si ipotizzava che l’arresto fosse una conseguenza di indagini relative alla compravendita delle tessere per le razioni di cibo e alla vendita di derrata alimentari al mercato nero, e che non ci fosse stato alcun tradimento. Deve poi essere considerata l’opinione di Bart van der Boom, uno storico dell’università di Leiden, che ha pubblicato nel corso degli anni numerosi contributi relativi al Consiglio Ebraico. Van der Boom ha dichiarato di ritenere le conclusioni del team di ricerca del tutto prive di senso. Lo storico osserva infatti che la lettera ricevuta da Otto Frank fu scritta in un periodo in cui si moltiplicavano le accuse reciproche su chi avrebbe tradito chi, in un clima di sospetto che caratterizzò in molti paesi europei l’immediato dopoguerra. Oltre a tutto è puramente ipotetica l’ipotesi che Frank – pur conoscendo con certezza il nome del traditore – non abbia mai ritenuto di doverlo accusare pubblicamente.

     

    Da un punto di vista etico, l’accusa nei confronti del notaio ebreo appare quanto meno ingiusta, essendo questi morto nel 1950 e non potendo dunque difendersi. In ogni caso, da un punto di vista storico, appare chiaro che un solo documento, scritto subito dopo la guerra e anonimo non può bastare a provare senza ombra di dubbio la teoria della colpevolezza di van der Bergh. Teoria che dunque, come altro, non può che essere considerata un’ipotesi, non certamente una certezza incontrovertibile.  

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