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    70 anni con il sorriso

    “La durata
    della nostra vita è circoscritta a settant’anni, e in un fisico robusto a
    ottant’anni”. Così recitano i Salmi (90, 10). Festeggiando un settantesimo
    compleanno non sembra un augurio azzeccato, ma per gli ebrei romani, e per i
    frequentatori del Tempio Spagnolo, questo salmo ha un significato particolare,
    perché fa parte dei tehillim che venivano (e dovremmo ricominciare a farlo)
    recitati il Sabato pomeriggio al beth ha-keneset. Questi Salmi hanno un’aria
    particolare, che oramai purtroppo solo Rav Funaro, e forse pochi altri,
    conoscono. 

    Nell’immaginario
    collettivo Rav Funaro è legato a dei suoni ben precisi. Canti, interpretati da
    lui, insegnati a tanti chazanim che spesso e volentieri hanno cercato di
    emularlo, trasmessi a tanti studenti delle scuole ebraiche; quante migliaia di
    ragazzini avranno imparato da lui i canti del Seder di Pesach? Quanti sedarim
    abbiamo passato assieme a lui? Il suono dello shofar… chi di noi non lo ha
    sentito all’uscita del Kippur, appena tornati a casa, nella tradizionale
    trasmissione radiofonica? Espressioni mutuate dai suoi maestri, come il
    “vecchio ciccione innamorato”, che non era un invito a mettersi a dieta, ma un
    adagio del Morè Moshè z”l, che ripeteva questa frase pizzicando le guance dei
    bambini che venivano a studiare Torà.

    Potrei fare
    tanti altri esempi, ma credo che il concetto sia chiaro, Rav Funaro rappresenta
    un ponte con una generazione e con un tipo di rabbinato, tipicamente romano,
    che va scomparendo. Il mondo cambia, gli uomini cambiano, ma in una realtà in
    cui tutti veniamo sballottolati qua e là a massima velocità, ogni tanto fa
    piacere tornare a casa.

    Rav Funaro
    compie 70 anni, quasi tutti passati in Piazza e nelle strutture della Comunità.
    Il Tempio Grande, il Tempio Spagnolo (ancora oggi il suo grande amore),
    l’Ufficio Rabbinico, che ha diretto per molti anni, la Scuola, il Collegio
    Rabbinico. Nonostante sia in pensione già da svariati anni, la sua presenza in
    questi luoghi è costante, e ritengo che non potrebbe allontanarsene, ultima
    bandiera fra i rabbini romani. “Ne voglio parlare male, ma non voglio sentirne
    parlare male” ripete spesso, segno di un legame, che nonostante tutto è
    impossibile spezzare.

    Rav Funaro,
    diceva Cesare Efrati, è tante cose, un rabbino, un dottore, un capitano, un
    maestro… “di piazza”.

    Sin dalla
    più tenera età Rav Funaro ha frequentato il Tempio Spagnolo, portato da suo
    padre z”l. I suoi genitori affrontarono molte prove e furono costretti a
    compiere tanti sacrifici per crescere i figli. A sette anni Rav Funaro lesse la
    sua prima haftarà al Tempio Maggiore; incoraggiato da Rav Toaff perseverò nella
    sua formazione, arrivando a conseguire il titolo rabbinico. Figlio di un
    ebraismo semplice, ma dai valori genuini, spontaneo (quello che ho qui – ama
    dire, indicando il cuore – ho qui, indicando la bocca) e un po’ goliardico, Rav
    Funaro è stato formato da tanti rabbini. Alcuni lo hanno segnato in modo
    particolare, il già menzionato Rav Toaff z”l, il Morè Moshè z”l e il Morè Nello
    z”l. Negli ultimi due decenni ha collaborato con il Rabbino Capo, Rav Di Segni,
    dando voce a quella Piazza che ha sempre tanto amato. Ha vissuto tanti momenti
    cruciali nella storia della nostra comunità, l’attentato del 1982, nel quale
    rimase ferita sua moglie Rita, le visite dei Pontefici al bet ha-keneset,
    trasmettendo a quanti gli sono vicini, primi fra tutti i suoi figli Ariel e
    Daniel, consigliere della nostra Comunità, lo stimolo a vivere con trasporto le
    vicende dell’ebraismo romano.

    Un’altra
    costante della vita di Rav Funaro è il calcio, prima da calciatore provetto a
    Teatro Marcello, poi da tifoso della Roma. Fra le tante personalità che ha
    incontrato negli anni ci fu anche Franco Sensi, il presidente del terzo
    scudetto della Roma. 

    Ma più di
    tutto Rav Funaro è stato, ed è, un maestro. Il numero dei matrimoni che celebra
    ancora oggi è un segno inequivocabile dell’affetto che gli allievi e le
    famiglie provano nei suoi confronti. Un rabbino, ama ripetere, non si giudica
    dal numero di pagine di Talmud che ha studiato, ma dalla sua capacità di
    mettersi a disposizione dell’altro. Aggiungo, e spero di non rivelare un
    segreto, di mettersi a disposizione con il sorriso. Anni fa il presidente di
    una comunità italiana contattò Rav Funaro, nella speranza di separarlo da Roma.
    Si svolse un incontro conoscitivo, e il presidente, colpito dalla giovialità di
    Rav Funaro gli chiese: mi perdoni Rav, ma perché ride sempre? E Rav Funaro
    rispose: perché? Dovrei piangere? Auguro a Rav Funaro di continuare ad
    accompagnarci ancora per tanti anni, insegnandoci canti e parole di Torà, con
    il sorriso.

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