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    Fosse Ardeatine: cerimonia religiosa della Comunità ebraica

    Roma 23 marzo 1944: una bomba – posta i partigiani del Gap – esplode improvvisamente in via Rasella, al passaggio di un drappello di soldati SS. Muoiono 33 nazisti. Scatta immediatamente la rappresaglia del comando tedesco che occupa la città: per ogni tedesco ucciso pagheranno con la vita dieci italiani, scelti tra i detenuti politici e comuni di Regina Coeli e del carcere di via Tasso. A compilare personalmente la lista dei ‘condannati’ furono il comandante delle SS Herbert Kappler e il suo vice Erich Pribke che inclusero nella lista i prigionieri che erano già stati condannati a morte, all’ergastolo o che erano sotto processo per reati passibili di condanna capitale. Verificato che il numero dei prigionieri detenuti nel carcere tedesco di via Tasso era insufficiente a completare la lista dei 330 italiani da fucilare per rappresaglia, fu chiamato il questore fascista Pietro Caruso che completò l’elenco inserendo detenuti di Regina Coeli ed ebrei romani che erano stati fermati o arrestati.

    Il giorno successivo – il 24 marzo 1944 – le vittime designate (che per un errore erano diventate 335) con camion militari coperti furono portate alle cave di tufo lungo la via Ardeatina, situate tra le catacombe di Domitilla e di S. Callisto sulla via Ardeatina. I prigionieri, suddivisi in gruppi di cinque, vennero condotti nelle gallerie dove vennero fatte inginocchiare ed uccise con un colpo di pistola dall’alto in basso all’altezza del collo; alla fine, per accelerare i tempi, si decise di far salire le vittime e gli esecutori sopra lo strato di cadaveri e si formarono pile di corpi. Al termine della strage, per nascondere l’eccidio, le cave e l’ingresso furono fatte saltare con la dinamite.

    Nel calendario ebraico quel terribile 23 marzo 1944 corrispondeva al 29 di Adar 5704.

    Ogni anno nella ricorrenza ebraica di quel giorno, la Comunità ebraica di Roma si riunisce per commemorare, con la liturgia dei defunti, i 75 ebrei romani trucidati.

    Delle 335 vittime la più giovane e la più anziana erano ebrei: Michele Di Veroli (15 anni) e Mosè Di Consiglio (74 anni).

    Nelle Fosse Ardeatine i nazisti distrussero interi nuclei familiari ebraici: uccisero i padri con i figli (Bruno e Umberto Bucci, Attilio e Michele Di Veroli, Angelo e Pacifico Sonnino, Mosè con Salomone e Cesare Di Veroli, con tre nipoti Marco Santoro e Franco e il genero Angelo Di Castro); uccise i fratelli con i fratelli (Davide e Giovanni Limentani, Cesare e Renato Mieli, Tullio e Ugo Milano).

    Dell’enormità del massacro non ci si rese conto subito, ma solo quando furono recuperati e identificati i corpi delle vittime (grazie al lavoro svolto dal Professor Attilio Ascarelli che diresse la commissione medico-legale).

    Pochi mesi dopo l’eccidio, Pietro Carretta fu arrestato mentre cercava di fuggire e, dopo un processo con l’accusa di collaborazionismo fu giustiziato il 22 settembre 1944 nel cortile del Forte Bravetta a Roma.

    Nel 1947 Kappler, che era stato arrestato dagli inglesi, fu processato e condannato all’ergastolo da un tribunale militare italiano. Rinchiuso nel carcere di Gaeta, nel 1976 fu trasferito all’ospedale militare del Celio per motivi di salute. Da qui però evase, con l’aiuto della moglie, il 15 agosto 1977, provocando un enorme scandalo e le dimissioni dell’allora ministro della Difesa V. Lattanzio. Malato terminale di cancro, Kappler morì un anno dopo in Germania.

    Nel 1948, un tribunale militare italiano condannò anche Herbert Kappler all’ergastolo per il ruolo avuto nell’eccidio. Nel 1977, la moglie di Kappler riuscì a far fuggire il marito, Le autorità dell’allora Repubblica Federale Tedesca si rifiutarono di estradare Kappler a causa della sua salute ed egli morì l’anno seguente.

    Erich Priebke fu arrestato in Argentina ed estradato in Italia solo nel 1995. Fu processato per l’eccidio nel 1996, ma il tribunale militare giudicò il reato estinto, suscitando le proteste dei familiari delle vittime e sdegno nell’opinione pubblica. Condannato all’ergastolo dalla Corte d’appello (1998) scontò la pena agli arresti domiciliari, fino alla morte avvenuta nell’ottobre del 2013.

    A ricordo perenne dell’eccidio nazista, nel 1949 è stato eretto un sacrario, meta di continui pellegrinaggi.


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