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    I medici ebrei e leggi razziali

    Da una parte l’integrazione degli ebrei italiani nel tessuto socioeconomico nazionale a inizio ’900; dall’altra lo sconvolgimento provocato dalle leggi razziali del 1938, che provocarono la loro radiazione dall’albo professionale. Questi sono stati i due spunti da cui è partito il convegno “Medici ebrei durante le leggi antiebraiche” che si è tenuto nell’Aula Magna dell’ospedale Fatebeneratelli-Gemellli di Roma.

    I diversi contributi giunti per l’occasione hanno permesso di ricostruire un quadro generale delle

    vicende e di analizzare alcuni casi studio di talune personalità che hanno

    rappresentato un’eccellenza nella storia della medicina in Italia.

    A moderare i lavori Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Beni e Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma. Procaccia ha sottolineato come lo scopo di questa iniziativa fosse «non tanto quello di comprendere le persecuzioni e gli effetti sui medici, quanto far capire quanto sia stata importante l’emancipazione per quanto riguarda l’inserimento degli ebrei nel tessuto sociale, economico e culturale dell’epoca e in particolare in Italia e per Roma capitale».

    Ha aperto il convegno Sergio Alfieri, direttore area clinico-scientifica del Fatebenefratelli-Gemelli di Roma, il quale ha evidenziato l’importanza dell’evento «perché alcuni hanno ritenuto di discriminare l’essere umano solamente per motivi religiosi. Questo è qualcosa di inspiegabile e di inaccettabile». La scelta del Fatebenefratelli non è stata casuale, come ha precisato la Presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, ma è nata dal forte legame della comunità ebraica con l’ospedale «non soltanto per la vicinanza, non soltanto perché questa è un’isola della salute, e per noi rimane nel cuore, così simbolica e significativa anche per la convivenza con l’Ospedale Israelitico qui di fronte, ma perché qui qualche anno fa abbiamo dedicato un momento importante alla memoria del Professor Ossicini e a quelle gesta eroiche sue e di chi lo assisteva, che hanno contribuito a  salvare vite umane». Dureghello che ha evidenziato come la professione medica abbia significato per la comunità ebraica «un’ancora di salvezza tante volte: lo è stato all’interno del ghetto quando soltanto i medici in qualche modo potevano partecipare alla vita sociale e lo fecero in maniera determinante, lo è stato successivamente nello sviluppo di alcune branche cliniche, ma lo è stato soprattutto nel momento in cui si doveva scegliere, tenendo fede al giuramento di Ippocrate, da quale parte fosse la vita e da quale parte fosse la morte».

    Dureghello ha ricordato anche quei tanti medici che operarono nella direzione del disprezzo della vita umana e dell’asservimento delle proprie qualità alle ideologie. 

    Massimo Finzi, Assessore alla Memoria della Comunità Ebraica di Roma, ha evidenziato che i medici firmatari del Manifesto della Razza non furono chiamati a rispondere del loro comportamento nel dopoguerra, «a dimostrazione che dopo l’amnistia di De Gasperi, l’Italia probabilmente non ha mai fatto conti con il fascismo». Finzi nel corso del convegno ha intervistato il Rabbino Capo della Comunità ebraica Riccardo Di Segni, il quale ha raccontato la storia di suo padre, Mosé Di Segni, medico ebreo romano che si rifugiò con la famiglia nelle Marche e si arruolò con la brigata partigiana della zona guidata da Mario Depangher. 

    Molti poi gli interventi che hanno illustrato le biografie e i contributi scientifici di medici ebrei nell’Italia fascista. Il Professor David Megnagi, docente di psicologia clinica e dinamica all’Università di Roma Tre, ha ricordato Edoardo Weiss, Roberto Assagioli ed Enzo Bonaventura, soffermandosi sul loro contributo nella psichiatria, psicoterapia e psicoanalisi italiana e sulle loro biografie. Martino Contu, giornalista ed insegnante, ha invece delineato il profilo e l’attività medico scientifica di Attilio Ascarelli, medico il cui nome è inesorabilmente legato all’eccidio delle Fosse Ardeatine, guidando la commissione che si occupò dell’identificazione delle vittime. “Fu un sacrificio di vittime, non l’esecuzione di ostaggi” disse intervenendo alla radio Voce dell’America il 23 marzo 1945. Il Professor Stefano Arieti, docente di storia della medicina all’Università degli studi di Bologna Alma Mater ha invece trattato della figura di Guido Aronne Mendes, medico fiorentino iscritto alla Comunità ebraica di Roma, amico di Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII suo compagno di scuola e amico.

    Il professor Dario Manfellotto, docente di Nefrologia geriatrica all’Università La Sapienza di Roma e medico internista al Fatebenefratelli-Gemelli ha affrontato la storia dell’ospedale, con le figure fondamentali di Fra Maurizio e del Dottor Giovanni Borromeo, che permisero a 68 ebrei di salvarsi dei nazisti, nascondendosi in un reparto dell’ospedale, dal quale i tedeschi, timorosi di poter contrarre un morbo inesistente, il morbo K (dalle iniziali dei nomi degli ufficiali tedeschi Kesselring e Kappler), si tennero lontani. Un’altra connessione tra il mondo ebraico e la medicina, nonché un ulteriore valore da attribuire alla sede di questo convegno.

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