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    La Felicità al centro di ‘Ebraica – Festival Internazionale di Cultura’

    “Ebraica – Festival Internazionale di Cultura” ha attivato per la sua 13esima edizione degli eventi digital pomeridiani e serali che come filone generale riprendono il discorso della “felicità” su cui questa manifestazione si sofferma. Dirette social molto interessanti che si possono vedere in replica su YouTube. 

    Martedì 8 settembre alle 21, Elisabetta Fiorito, giornalista e scrittrice, ha intervistato lo scrittore Assaf Inbari del suo libro “verso casa”, edito Giuntina, per parlare di “Kibbutz: felicità e nostalgia”. Lui ha spiegato di aver vissuto prima in un kibbutz di Afikim e poi a Tel Aviv, marcando la differenza tra l’essere membri di una comunità e cittadini del mondo. Non è un caso che attualmente lui viva nuovamente in un kibbutz.

    “Ho voluto raccontare la storia completa del kibbutz dalla culla alla tomba. ho voluto essere il biografo di un luogo attraversando tutte le fasi. la storia inizia ancor prima del kibbuts, nel ventre dei kibbutz”, spiegando come inizia tutto in Russia nel 1920 con sette ragazzi che avevano il sogno di realizzarlo ed emigrarono in Palestina per fondare i vari kibbutzim.

    In questo libro si trovano le sfumature politiche dei diversi movimenti presenti nei kibbutz che molte persone non conoscono. Kibbutz che inizialmente erano socialisti e che con il tempo si sono privatizzati. Assaf Inbari descrive minuziosamente il cambiamento, dalla crescita al declino: “i kibbutz hanno perso importanza come comunità. Voglio dire che all’inizio erano molto spartani e la maggior parte dei membri trovavano molto difficile viverci. Non era una realtà per tutti per lo stile di vita rigido dell’impronta comunista, ma molti rimanevano per essere in prima linea mentre nasceva la nazione.”

    Il nazionalismo viene, quindi, visto come un’impronta molto forte nei ragazzi che, nonostante le difficoltà, inseguivano il proprio sogno per vedere la nascita dello Stato che tanto desideravano.

    Con il cambiamento, dove divennero privati, non c’era più quella voglia iniziale di “fare la storia” ma il bisogno di prendere delle responsabilità individuali per portar avanti tutto il lavoro nei Kibbutz.

    L’ultima domanda che la giornalista pone allo scrittore è “qual è la frase o il momento che ci fa capire Israele e la sua storia?”. La risposta di Assaf Inbari non tarda ad arrivare, coinvolgendo in prima persona i lettori italiani: “c’è un momento importante nel romanzo che potrebbe toccare tutti i lettori italiani. Un intero capitolo del 1939 ambientato in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale dei soldati ebrei, molti dei quali arrivavano nei kibbutz e si unirono all’esercito inglese per combattere i nazisti.” Con la lettura di un piccolo paragrafo, con un chiaro rimando all’arco di Tito e a ciò che ha significato per gli ebrei romani, si chiude l’evento serale.

    Mercoledì 9 settembre è stata la volta di Chiara Gamberale e la scrittrice Ayelet Gundar-Gosher per parlare di “la bugia della felicità”, suo libro edito da “Giuntina”.

    La scrittrice Chiara Gamberale ha chiesto, in primis, all’autrice il suo rapporto con la bugia e la letteratura e lei prontamente risponde: “Noi autori abbiamo una relazione molto ambivalente con la verità. vogliamo che le nostre storie rivelino la verità ma la verità non sempre rispecchia ciò che realmente è accaduto. A volte ciò che accade nella nostra mente è più importante della verità. Nel mio caso, già da quando ero piccola sentivo che le storia erano più importanti della quotidianità di tutti i giorni. A volte la realtà ci delude e trovavo più semplice entrare nella mia testa e nel mio cuore, piuttosto che rapportarmi esternamente”. Si è parlato anche della situazione spiacevole del Coronavirus, ma Ayelet è riuscita a vederne il lato positivo affermando che “questo momento difficile del virus sia anche un’opportunità per valori umanistici come la letteratura e anche se siamo rinchiusi nelle nostre città e non possiamo viaggiare i libri, le parole, le idee viaggiano. Sono modi di comunicare.” Un evento che porta ad un viaggio dentro sé stessi, includendo anche quella fase della vita femminile del “diventar madri”, equilibrio delicato da non sottovalutare.

    Giovedì 10 settembre l’appuntamento si è rinnovato con la giornalista Roberta Ammando che ha intervistato nell’ambito delle “Good News”, le buone notizie, Daniel Fishman e il docente Stefano Rolando.

    Fishman ha iniziato a parlare di felicità dicendo che in questa fase storica bisogna trovare un qualcosa che possa aiutare a pensare in maniera più ottimistica, “dare un poco di speranza in un mondo migliore”. Lui si definisce un “ebreo felice” perché gli piace pensare che l’ebraismo che non è solo una religione ma una chiave di lettura della società porta a delle riflessioni sulla felicità: “se noi chiediamo all’80% delle persone qual è il motivo per cui vivono, non capiscono neanche la domanda e non sanno darsi una risposta. Un modo di dire dell’ebraismo è che quando sei su questa terra devi porti un obiettivo: fai un figlio, scrivi un libro e pianta un albero. Una metafora molto bella perché fai un qualcosa che dà un senso alla tua vita”. In questo periodo storico è ancora più importante il modo di comunicare. Stefano Rolando è professore di comunicazione pubblica e politica all’Università IULM di Milano e ha dialogato sulla soggettività delle buone e delle cattive notizie che non esistono in natura ma “sono un prodotto artificiale, fondamentalmente ormai professionale, legato sostanzialmente a mezzi dietro cui ci sono svariati interessi e con un’organizzazione distributiva complessa che di solito unisce le cose buone che andrebbero dette e privilegia, a volte, le patologie”. Un evento che vuole percorrere la felicità all’interno delle notizie che molto spesso la società ci propone. 

    Tre eventi serali che ci hanno accompagnato a delle riflessioni diverse tra loro, ma portando la “felicità” come Leit Motiv in un periodo storico in cui tutti i cittadini sentono il bisogno di respirare un po’ di serenità. 

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