Skip to main content

SPECIALE PESACH 5784

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati

    Storie di famiglie ebraiche a Roma: Di Capua

     

    di Sara Milano

    Proseguono gli appuntamenti online dedicati alle storie delle famiglie ebraiche romane, a cura del Museo Ebraico in collaborazione con l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma. Questo mercoledì sono state approfondite le vicende della famiglia Di Capua, grazie agli interventi di Olga Melasecchi, direttrice del Museo, Serena Di Nepi, professoressa di storia moderna all’Università di Roma La Sapienza, e Silvia Haia Antonucci, responsabile dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma.

    Durante questi incontri sono raccontate non solo le storie delle singole famiglie, ma soprattutto le relazioni tra i preziosi manufatti e arredi liturgici esposti oggi nelle sale del Museo, i documenti conservati negli archivi e altri importanti fatti storici. Risale al 1591 la mappà più antica tra quelle conservate oggi presso il Museo Ebraico, donata da Gavriel Capuano alla Scola Nuova: si tratta di una fascia in tessuto utilizzata per avvolgere e conservare ciascun Sefer Torà (il rotolo della Legge) custodito in Sinagoga. Questa mappà è di fattura solo apparentemente semplice, essendo costituita da cinque teli di lino impreziositi da intramezzi in merletto a fuselli e ricamati con iscrizioni in ebraico che ricordano il nome e la data del donatore. A questa seguiranno altre importanti donazioni sia di mappòt – di più complessa e raffinata fattura – sia di rimmonin, cioè quei preziosi arredi liturgici in argento posti come puntali a coronamento del Sefer Torà. Nell’analisi di questi oggetti Olga Melasecchi ha fatto emergere la storia poco conosciuta dell’arte della tessitura e del suo sviluppo nei secoli, di cui le donne ebree erano esperte e celebri, tanto da avere commissioni anche fuori le mura del ghetto.

    Una prima notizia della famiglia Di Capua nella città eterna è attestata dal documento Descriptio Urbis del 1526, in cui si riporta il censimento della popolazione residente a Roma; altre fonti della stessa epoca, inoltre, la descrivono come famiglia impegnata nella professione di banchieri tanto da risultare tra i primi intestatari di licenza di prestito. Tracciare le storie delle famiglie ebraiche è questione complessa che richiede molteplici specializzazioni e un confronto di fonti documentarie conservate in diversi archivi. “Si tratta di mettere insieme notizie che arrivano sia da fonti in ebraico – prodotte all’interno della società ebraica e per questa stessa società – sia da altre fonti in latino e in volgare italiano, che raccontano la storia sempre ricca e affascinante delle relazioni tra il mondo ebraico e la società maggioritaria in cui si viveva”, spiega Serena Di Nepi nel suo interevento, analizzando diversi documenti nel contesto più ampio degli avvenimenti storici e politici che si susseguono a Roma.

    A distanza di secoli, il Censimento delle Cinque Scole del 1868 – conservato oggi presso l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma – è un’altra fonte documentaria ricca di dati e perciò preziosa per ricostruire la storia delle famiglie ebraiche romane che hanno vissuto nel ghetto tra il 1555 e il 1870. Tra le varie notizie riportate da Silvia Haia Antonucci nel suo intervento, è interessante notare un cambiamento nella scelta dei nomi a fine Ottocento: da nomi significativi per la tradizione ebraica se ne trovano di nuovi, come per esempio Ida Italia. “Con l’apertura definitiva del ghetto nel 1870, gli ebrei sono diventati cittadini del Regno. Questo non vuol dire solo costruire l’Italia e avere una patria. Per gli ebrei significa anche avere gli stessi diritti degli altri cittadini dopo più di 300 anni di ghetto” afferma Antonucci. E, infatti, questo diverso legame e la partecipazione attiva alle vicende politiche dello Stato nascente si riscontrano anche nelle decorazioni delle ketubot (i contratti matrimoniali), alcune delle quali decorate in quel momento con i colori della bandiera italiana.

    Tante le famiglie di cui raccontare ancora, ma in attesa del prossimo incontro vale la pena approfittare della riapertura del Museo per tornare a vedere con i propri occhi la ricca collezione e consultare i documenti presso l’Archivio Storico della Comunità.

    CONDIVIDI SU: