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    Una targa in memoria di Vittorio Emanuele Terracina, eroe di guerra tradito dal re e dal suo barbiere

    In un cortile di Via Goffredo Mameli a Roma, cinque generazioni, tra figli, nipoti e pronipoti, si sono ritrovate per installare una targa in memoria di Vittorio Emanuele Terracina, deportato dai nazifascisti il 5 maggio del ’44 e ucciso ad Auschwitz.

     

    Quella di Vittorio Emanuele Terracina è una storia che passa per il patriottismo, per il tradimento subito dalle leggi razziali, per le fughe rocambolesche, fino a un tragico epilogo. Medaglia al valor militare per la sua partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, Vittorio Emanuele portava questo nome, come tanti ebrei romani, in onore del re d’Italia, il padre della patria Vittorio Emanuele II, artefice dell’emancipazione e della chiusura del ghetto di Roma. Un nome poi tramandato al nipote Vittorio Emanuele III che, a differenza del nonno, si macchiò dell’infamia di firmare le leggi razziali e tradì gli ebrei italiani. 

     

    È un patriota come lo è stato suo padre Sabato, Vittorio Emanuele, che ha un negozio di carta da imballo per usi alimentari in vicolo dei Catinari. Terracina, eroe di guerra, come tutti gli ebrei italiani, subisce poi le infami leggi fasciste e nella Roma occupata riesce a sfuggire la retata del 16 ottobre del ’43, trovando rifugio nel vicino ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, dove il primario Giovanni Borromeo, assieme ad Adriano Ossicini, mette in scena un reparto per pazienti “affetti” dell’inesistente quanto famigerato morbo di K, beffandosi così dei nazifascisti e portando in salvo alcuni ebrei in fuga. Ma i nazisti sanno bene dove vive Vittorio Emanuele perché hanno già saccheggiato e sequestrato i registri della Comunità ebraica. È per questo che durante la retata arrivano in Via Goffredo Mameli 30 per prendere lui e i suoi famigliari. A via Mameli quel giorno c’è Allegra, la moglie di Terracina, con la figlia più giovane, Vanda. La portiera, con grande coraggio e rischiando la vita, con uno stratagemma riesce a deviare i tedeschi in un altro appartamento, dando così il tempo alle due donne di fuggire. 

    «I fascisti e i nazisti sapevano dove abitava la nostra famiglia, per questo arrivarono in Via Mameli. Con scaltrezza, coraggio e compiacenza, la portiera andò nella casa al secondo piano. – racconta commosso Roberto Misano, figlio di Vanda, anche lei presente all’installazione della targa voluta dalla famiglia – La donna prese mia madre e mia nonna, schivando i tedeschi, dicendogli che la nostra famiglia era all’ultimo piano. Così nonna Allegra riuscì a fuggire assieme a mamma. Si rifugiarono in una pellicceria in piazza San Cosimato. Nonno Vittorio Emanuele fu catturato in seguito, per un’infame delazione». Il 5 maggio del ’44, un mese prima dell’arrivo degli americani, infatti Vittorio Emanuele si crede al sicuro e va dal suo barbiere di fiducia.  Ma lui lo tradisce e lo “vende” ai nazifascisti per 5000 lire. Arrestato dai tedeschi, Terracina viene portato a Via Tasso. Anche qui riesce a cavarsela, ad ingannare i suoi aguzzini, negando di essere ebreo, così viene rilasciato. Subito dopo però il suo compagno di cella, a suon di torture, viene costretto a confessare che Vittorio Emanuele è ebreo e proprio a pochi passi da Via Tasso egli viene ricatturato e portato nel carcere di Regina Coeli. In seguito sarà caricato su un camion diretto a Fossoli, con lui c’è anche il suo amico Pacifico Di Consiglio detto Moretto che riuscirà a fuggire. Il 26 Giugno del ‘44 Vittorio Emanuele viene messo sul convoglio 13 in direzione del campo di sterminio di Auschwitz dove verrà ucciso nelle camere a gas.

     

    «Un uomo ebreo valeva 5000 lire, una donna 3000 lire e un bambino 1500 lire. Il suo barbiere di fiducia lo tradì – continua Roberto, mostrando l’attestato per la medaglia al valor militare -. Ho tutta la documentazione del processo del ‘46 per delazione, che poi chiaramente non ebbe seguito con l’amnistia di Palmiro Togliatti.» Roberto indica ai famigliari il documento «questo è l’attestato firmato da Ivanoe Bonomi, ministro della Guerra, il 3 maggio del 1921» e quella medaglia, riconoscimento del patriottismo e dell’amore per l’Italia non gli valse la libertà, ma fu testimone di quel tradimento italiano che spinse Vittorio Emanuele nel buio della Storia. 

     

    “In questo stabile visse Vittorio Emanuele Terracina. Eroe della Prima Guerra Mondiale decorato con Medaglia al valor militare, catturato dai nazifascisti il 5 maggio del 1944, trucidato nelle camere a gas di Auschwitz il 30 giugno del 1944. I discendenti posero in ricordo Addì 5 maggio 2023” hanno voluto scrivere i famigliari sulla targa che imprime nel condominio in Via Mameli il ricordo come monito della storia per le generazioni che verranno. “Zachor Al Tishkach”, ovvero “ricorda e non dimenticare” cita il Rabbino Enzo Di Castro prima di intonare i salmi e una preghiera dedicata a Vittorio Emanuele e a tutti gli ebrei trucidati nei campi di sterminio. E lì, tra i famigliari, c’è anche il più giovane dei pronipoti, ha 17 anni. E anche lui si chiama Vittorio…

     

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