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    Gli ebrei sul mare che regolarono i conti

    Pochi riconoscerebbero nella condizione ebraica quella di gente abituata a lunghi e pericolosi viaggi per mare, e meno ancora quella di gente che dei Sette Mari e degli oceani aveva fatto il proprio mestiere anche con la forza delle armi. E neppure è vero che nella memoria collettiva degli ebrei d’Europa la grande traversata debba necessariamente trovare il simbolo decisivo nell’approdo a New York di masse di migranti in fuga dai pogrom o nella vicenda tragica della “nave dei dannati”, come fu poi soprannominato il transatlantico tedesco St.Louis, con 937 ebrei imbarcati ad Amburgo – destinazione Cuba – per volontà personale di Hitler. Il quale raggiunse lo scopo di dimostrare al mondo che certi particolari profughi non li vuole nessuno. Resta il fatto che su un pianeta coperto dall’elemento liquido per i due terzi della superficie qualsiasi spostamento incontra fiumi e laghi e infine immense distese d’acqua, calate forse nel mondo dopo il Diluvio che Noè affrontò e vinse su una grande nave. Anche l’avventura di Mosè comincia sull’acqua, e poi fu necessario far aprire un mare per salvare il popolo e guidarlo verso Erez Israel attraverso un deserto che costeggia Yam Gadol, il Grande Mare che Roma volle “Internum”. Oggi il Mediterraneo. Ebbene i primi ebrei che osarono resistere proprio sul mare all’espansione dei figli del Tiberinus Pater (il Tevere) furono al tempo degli Asmonei i marinai di Joppa (Giaffa). Si guadagnarono qualche menzione al tempo della guerra vittoriosa di Cesare e Pompeo contro i pirati della Cilicia. Poi fu il turno di Vespasiano, che negli anni delle grandi rivolte nella Provincia di Giudea dovette occuparsi ancora una volta dei pirati ebrei di Giaffa. E qui abbiamo addirittura la parola di Flavio Giuseppe nella sua Guerra Giudaica: “Costruirono grandi navi per la pirateria nei mari d’Egitto, Fenicia e Siria”. I viaggiatori ebrei dell’età medievale furono ben riconoscibili sui mari e nei deserti del mondo allora conosciuto. Arrivò presto l’età più dura dell’Inquisizione, con la cacciata degli ebrei da ogni dominio di Spagna e Portogallo. Regni di gran mercanti, di soldati e di navigatori, tra i quali non pochi i figli d’Israele. Restituiamo alla storia qualche verità nascosta, perché non ci furono soltanto fuggiaschi. Si narra che sulle tre caravelle di Cristoforo Colombo fossero imbarcati soprattutto conversos arrabbiati e sospetti marranos. Notizia probabilmente non fake, visto che la cattolicissima Isabella aveva promulgato l’editto di espulsione il 21 marzo 1492, e Cristoforo Colombo firmò il successivo 17 aprile un contratto vincolante con finanziatori decisi come lui a “buscar el Levante para el Poniente”. Già molti ebrei conversos più o meno convinti (diciamo niente affatto) avevano navigato sotto le bandiere della cristianità. Vasco il portoghese che fu il primo a doppiare Buona Speranza prese anzi il nome dal suo pilota ebreo Gaspar da Gama. Fernando de Loronha legò invece il nome di famiglia a un celebre arcipelago brasiliano, 350 km al largo dello coste di Pernambuco. Era intanto arrivata l’età delle vendette. Ovvero le imprese dei marinai ebrei che cinquecento anni fa correvano il Mediterraneo con le patenti di corsa – corsari – per il servizio del Sultano di Istanbul, seminando il terrore tra genovesi, veneziani e spagnoli. Sinan l’Ebreo (1496-1542) detto il Giudeo di Smirne divenne celebre per lo spietato coraggio. Samuel Pallache (1550-1615) invece era nato a Fez in Marocco, ma fu al servizio soprattutto di se stesso. Navigò per tre fedi, e restò ebreo. Trascorse alcuni anni anche nei Caraibi, e all’isola di Barbados si racconta di un vero Rav ebreo che praticò la marineria da corsa al servizio di inglesi e olandesi. Ma aveva combattuto per il re del Marocco nel Mediterraneo, prima di approdare alle Isole nella Corrente. Fu così che durante il secolo XVII dell’era cristiana gli ebrei navigatori si insediarono al Caribe, appunto nell’età d’oro dei pirati di Tortuga e dei Fratelli della Costa. Erano passati per l’Olanda dei calvinisti, che li avevano accolti e tollerati bloccando gli editti di cattura degli inquisitori. Di vele e navi se ne intendevano, addestrati alla scuola della grande marineria iberica, e i lingotti d’oro insieme con l’argento e le pietre preziose catturati sui convogli del comune nemico “cattolico” venivano trasferiti ad Amsterdam e a Londra. Alla metà del XVII secolo vivevano in Giamaica più di 2.000 ebrei. Il cimitero di Hunt’s Bay conserva decine di lapidi. Non poche con il Jolly Roger accanto al Maghen David, e dunque si può ragionevolmente ritenere quale fosse il mestiere più diffuso. E si tramandano anche i nomi delle navi: Samuele Profeta, Regina Ester, Scudo di Avraham. Moses Cohen Henriques era stato amico di Henry Morgan, il pirata inglese più temuto del Sudamerica. Nel 1628 insieme con l’ammiraglio olandese Piet Pieterszoon Hein catturò una flotta spagnola che trasportava a Malaga preziosi per 11.509.524 guilders, in valuta delle Provincie Unite. Oggi un miliardo 268 milioni di dollari, stando a una stima prudente. Molti altri ebrei furono Fratelli della Costa alla Tortuga. Uno per tutti: Yaacov Curiel esercitò con successo e onore la sua professione di pirata vendicatore nei Caraibi, e poi intorno al 1650 raggiunse Safed in Israele per dedicarsi allo studio della Cabbalà. La quale, come sappiamo, si deve considerare oceano di enigmatica sapienza.

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