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    La Gaeta da scoprire

    Nel cuore ebraico c’è un po’ di Gaeta. A Gaeta troppo spesso il turista distratto si limita ad apprezzare la candida spiaggia di Serapo, incastonata tra due promontori a picco sul mare. In realtà Gaeta offre tanto di più perché vanta una storia millenaria: aurunci, romani, bizantini, svevi, angioini, aragonesi, ecc. hanno lasciato tracce significative. Un esempio tra tanti: la sommità del monte Orlando, che sovrasta la montagna spaccata, custodisce il mausoleo di Lucio Munazio Planco, il generale di Giulio Cesare che fondò Lione e Marsiglia.

    Ancora meno conosciuta è la presenza ebraica a Gaeta a partire dal V secolo d.e.v.. È stata una comunità dedita agli scambi commerciali tra oriente e occidente, in particolare al commercio delle stoffe, soprattutto della preziosa seta che in questa città gli ebrei tessevano e tingevano con maestria, tanto da essere definita “seta bona Gaytanisca”. Una traccia che rimane ancora oggi in una stola che adorna una statua in una chiesa cittadina e in una filastrocca locale, “seta-moneta”.

    Secondo Benjamin di Jona da Tuleda, la comunità ebraica di Gaeta nel XII secolo era costituita da 300 famiglie. Alcune famiglie di ebrei, espulsi dalla Spagna dai re cattolici nel 1492, trovarono asilo proprio in questa cittadina. Nel 1541 un editto di Carlo V espulse gli ebrei dal regno di Napoli, ma la presenza ebraica a Gaeta è testimoniata negli “Statuta” della città, dove un articolo del 1553 regolamenta la macellazione rituale ebraica (De carnibus iugulatis a Iudeis).

    Ma c’è anche un filo che lega Gaeta ad Israele e che si snoda dalla seconda metà del 1947, per proseguire per un intero anno. Ada Sereni, tramite l’organizzazione segreta “Aliyah Beth”, coordinava l’immigrazione clandestina verso la Palestina e scelse proprio Gaeta come uno dei porti di partenza. Furono i cantieri navali Orlando di Gaeta ad attrezzare i velieri diretti verso la Palestina mandataria prima e in Israele dopo. 

    I migranti ebrei dovevano eludere i rigidi controlli degli inglesi contrari all’immigrazione. Per questo Gaeta ebbe un significato ancor più particolare. Monsignor Mario Tirapani, insignito del titolo “giusto tra le Nazioni”, aveva segretamente contattato i pescatori del posto e li aveva convinti a trasportare al largo, sui loro pescherecci, gli ebrei a piccoli gruppi. Don Paolo Capobianco, prete a Gaeta, racconta: «Si vedevano all’imbrunire frotte di persone, le quali, sparute in volto, con sacchi, fagotti e valigie, presso la porta Carlo III, invece di entrare nella città murata, attraverso un’aiuola incolta, scendevano dai cantieri navali e, camminando sotto le mura, arrivavano alla banchina dove erano in attesa battelli pronti a trasportarle sotto bordo ai velieri per imbarcarle senza dare troppo nell’occhio di curiosi».

    Oggi presso quella antica porta di Gaeta c’è una targa marmorea che lo ricorda.

    Nel 1948, mentre si imbarcavano da Gaeta gli ultimi immigrati con destinazione Israele, moriva a Roma il contrammiraglio ebreo Guido Almagià: malgrado gli alti meriti e la medaglia d’argento, era stato espulso dalla regia marina nel gennaio 1939 a causa delle leggi razziste. Reintegrato dopo la fine del conflitto, prima di morire espresse il desiderio di essere sepolto nella sua Gaeta che aveva sempre amato.

    Più modestamente, tutto il ramo materno della mia famiglia si riuniva ogni primavera a Gaeta in un albergo sulla spiaggia di Serapo: una tradizione che noi nipoti abbiamo intenzione di mantenere.


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