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    L’Italia e gli ebrei nei territori occupati durante la Seconda Guerra Mondiale

    “Tutti coloro che per varie ragioni hanno
    abbandonato il loro paese sono con il presente proclama invitati a ritornarvi.
    Le forze armate italiane sono i garanti della loro sicurezza, della loro
    libertà e delle loro proprietà”. Queste parole sono tratte da un proclama del
    generale Vittorio Ambrosio del settembre 1941. Ambrosio era il comandante della
    2a Armata italiana, responsabile dell’occupazione di parte della ex Jugoslavia
    da poco conquistata e smembrata dalle forze dell’Asse. In pratica, secondo la
    storiografia, con questo proclama Ambrosio garantiva la salvezza per tutte le
    minoranze presenti sul territorio occupato dalla sua armata, ebrei compresi.
    Insomma un generale dell’Asse, in un momento storico nel quale la Shoah era in
    pieno svolgimento, dichiarava apertamente che avrebbe difeso la libertà e le
    proprietà dei perseguitati, in primis gli ebrei.

    Come è stato possibile? Come interpretare la
    scelta delle Forze armate italiane di impedire apertamente la persecuzione
    degli ebrei andando contro non solo la volontà dei nazisti, ma anche di tanti
    loro alleati come gli Ustascha croati o i fascisti romeni?

    L’Italia ebbe un ruolo non secondario nelle
    politiche di occupazione dell’Asse in Europa. L’esercito italiano aveva
    occupato, e controllava, la parte meridionale della Francia, buona parte della
    Jugoslavia e della Grecia e una parte del bacino del Don. Tutte zone dove si
    trovavano decine di migliaia di ebrei. In nessuno di questi territori costoro
    furono uccisi direttamente dagli italiani. Fino all’armistizio del 1943, nei
    territori occupati, così come in Italia, la vita degli ebrei fu al sicuro,
    tanto che le forze armate italiane si trovarono a dover gestire migliaia di
    rifugiati ebrei che scappavano dalle aree circostanti.

    Furono anche numerosi, inoltre, i funzionari,
    i diplomatici e gli italiani in genere che, in altre zone europee, non sotto il
    controllo delle nostre forze armate, decisero di salvare la vita ad ebrei, rischiando
    personalmente. Il caso di Giorgio Perlasca, l’agente di commercio italiano che
    si spacciò per console spagnolo a Budapest, salvando la vita di numerosi ebrei
    ungheresi, è solo il più noto di tanti poi raccontati in una bella mostra
    curata un paio di anni fa da Marcello Pezzetti, intitolata Solo il dovere oltre
    il dovere
    .

    Eppure questa storia non è chiara e pulita
    come vorremmo che fosse. La storiografia ha interpretato in maniera talvolta
    completamente divergente la politica complessiva del regime fascista nei
    territori occupati fino all’armistizio. Alcuni l’hanno interpretata come il
    risultato di un mero scontro di potere tra Italia e Germania, con la prima che
    cercava di ritagliarsi degli spazi di autonomia e quindi si rifiutava di accogliere
    le richieste naziste di consegnare, se non eliminare direttamente, gli ebrei.
    Altri hanno parlato invece di una differenza culturale (o addirittura
    antropologica) tra italiani e tedeschi. Alcuni ancora hanno parlato di
    interessi economici, ovvero di semplice corruzione a fini predatori dei beni
    degli ebrei in fuga che, disperati, avrebbero pagato profumatamente la loro
    salvezza.

    Insomma è un argomento su cui si è scritto
    molto, ma soprattutto a livello di politiche complessive del regime fascista.
    Molto meno sappiamo dell’atteggiamento in loco dei militari o dei funzionari
    che, nei territori occupati, si trovarono a gestire direttamente e
    personalmente, spesso senza direttive chiare, il “problema” degli ebrei e a
    contrattare, giorno per giorno, con gli ingombranti alleati nazisti.

    Lo scopo del convegno del 27-28 febbraio
    prossimo è proprio questo: mettere a confronto studiosi, molti dei quali appartenenti
    a una nuova leva storiografica, che stanno analizzando questo tema, ovvero le
    decisioni, le scelte, a volte le non scelte, di chi si trovò a dover attuare o
    non attuare le politiche del regime fascista. L’ambizione del convegno è di
    ottenere un quadro molto più preciso di ciò che videro e vissero i funzionari e
    i militari italiani, cosa scelsero di fare, sulla base di quali motivazioni,
    con una visione il più possibile “dal basso” delle occupazioni italiane e della
    Shoah in quei territori. Grazie a questo approccio, sarà possibile avere un’immagine
    più chiara, o almeno meno sfocata, di ciò che fu la posizione non dell’Italia
    fascista, ma degli italiani, nei territori occupati, nei confronti degli ebrei.

     

    Isabella Insolvibile e Amedeo Osti Guerrazzi

     

    Il convegno
    internazionale “L’Italia e gli ebrei nei territori occupati durante la Seconda
    Guerra Mondiale” si terrà lunedì 27 febbraio 14:30 – 19:30 e martedì 28
    febbraio 9:30 – 18:00 presso l’Aula “Luigi Capozzi”, Dip. di Scienze
    odontostomatologiche e maxillo-facciali, Via Caserta 6 – Roma.

    La Prof.ssa
    Isabella Insolvibile e il Prof. Amedeo Osti Guerrazzi compongono il Comitato
    Scientifico insieme al Prof. Umberto Gentiloni e al Prof. Lutz Kinkhammer.


    Didascalia foto: Sfilata militare dell’esercito italiano a Livno. Banda militare con tamburi in prima fila.

    Archivio fotografico Irsrec. Fondo Albanese, FVG, 04a 02

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