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    L’archivio racconta: Nel cuore dell’antico ghetto…Pesach e il “forno delli zimelli”

    1700..Il ghetto di Roma…un groviglio di stradine ..un ammasso di case costruite l’una sull’altra tanto da impedire alle persone di vedere il sole.. Si  scorgono le dimore fatiscenti addossate l’una all’altra con stanze sporgenti e tettoie di legno, i panni stesi, i sanpietrini bagnati come sempre per gli allagamenti che subiva in particolare quest’area troppo vicina al Tevere.  Su tutto, un cielo bianco latte che contribuiva a dare alla zona  un’aria spettrale. È il 1555 quando, su iniziativa di papa Paolo IV, si chiudono le porte del Ghetto. Un evento che segnerà drammaticamente la storia degli ebrei romani per oltre tre secoli. Lo scopo primario del  “serraglio”, così definito, doveva essere quello di accelerare la conversione degli ebrei e la dissoluzione della loro cultura.

     

    Ma già prima del 1555 gli ebrei romani avevano sviluppato modelli di comportamento individuali e comunitari in grado di poterli sostenere anche nei periodi più duri. Dopo la creazione del ghetto riuscirono infatti a rafforzare ulteriormente le proprie strategie di acculturazione e a sviluppare quindi una micro cultura che ne salvaguardò l’identità attraverso i secoli. Grazie a un sapiente gioco delle parti, gli ebrei romani misero in scena un ‘teatro sociale’ in grado di farli sopravvivere, restando ebrei e romani, all’interno di un ambiente cristiano che le gerarchie ecclesiastiche avrebbero voluto dominante e oppressivo.

     

    A Roma, città soggetta al disciplinamento ecclesiastico, sorsero le confraternite ebraiche (o compagnie) che ebbero lo scopo  di  soccorrere e assistere  con le loro attività  molteplici  gli  ebrei  del  ghetto, tanto che ogni associazione presentava differenti impegni sotto il profilo istituzionale, amministrativo, patrimoniale, religioso, sociale. In tal modo  gli ebrei riuscirono, malgrado le vessazioni dei papi, a  conservare, proteggere e custodire la loro identità. Una tra le più importanti confraternite era la Ghemilut  Chasadim,  ( opere pie), anche denominata compagnia della “Carità e Morte” la quale  attività era conosciuta  fin dal 1559. Questa associazione si occupava  dell’assistenza sanitaria,    dell’accompagnamento  funebre, della sepoltura della salma, della distribuzione  della carne , delle medicine per i più bisognosi del ghetto, nonché  della fornitura  e distribuzione capillare delle mazzot (azzime) nel periodo pasquale.

     

    A tale proposito è interessante notare  che le zimelle,, così venivano chiamate le azzime nel periodo del ghetto, venivano impastate in un forno speciale, posto in vicolo delle Azimelle. da qui il nome della viuzza. Non era difficile arrivare al forno, in quanto l’interno del ghetto era caratterizzato da due arterie parallele: strada della Rua e strada della Fiumara. Tra le due vie principali si sviluppava un folto reticolato di vicoli e piazzette che consentivano l’accesso al nucleo abitativo più denso del   “ recinto”. La toponomastica di questo spazio era connotata  dalla presenza di tre luoghi: una fontana con tre cannelle, il forno delle azzime,  e i macelli. La  prima dava il nome ad una piazza e ad un arco limitrofo a questa, passando sotto il quale si  giungeva in vicolo delle Azimelle, prendendo il nome dal forno.

     

    In questa stessa area sorgevano anche i macelli, luogo per la macellazione rituale della carne secondo le regole alimentari ebraiche.  Ciò sta a significare che questo spazio si caratterizzava  per essere “ il territorio”  della ritualità legata alla preparazione  delle azzime e alla macellazione degli animali ammessi dalla Torah. Sabato  Pitigliano, abitante del  ghetto dichiarò: “Io abito al forno delli zimelli per la strada delli macelli in compagnia di Isac mio fratello” Come ho già sottolineato, la confraternita  della Ghemilut Chasadim  era impegnata  nella preparazione  e distribuzione delle “zimelle” nel periodo della Pasqua ebraica, attività che ebbe inizio il primo gennaio 1598 allorquando la compagnia acquistò per 195 scudi da Samuele e Giuseppe Gabriele da Ceprano una bottega con forno, una camera contigua definita “ la stufa”, di due stanze superiori alla bottega  e di una cantina sottostante. Con il passare del tempo e precisamente il  30 maggio 1616 la Compagnia acquistò, da Moisè Cammeo, una casa con forno in via de’ Macelli per 150 scudi e quello divenne il luogo effettivo dove si impastavano le mazzot o le  zimelle anche dette zimelli. Ben presto la produzione delle azzime divenne oggetto di appalto  da parte della confraternita, la quale affittava il forno  a chi fosse in grado di versare una somma di denaro.  Siamo ormai nel 1850 ed il forno delle zimelle sfornava non solo azzime, ma anche lagane, (larghe tagliatelle di acqua e farina)  pizze e pizzarelle “che si ritaono dal fritello che si cava dalle farine per fare detti Azimi”. In un avviso  del 1854  proveniente  dall’Università Israelitica di Roma, l’organo più importante Ghetto si affermava:

     

    I deputati primari di questa Università israelitica invitano tutti quelli che vogliono concorrere  all’Appalto delle Azzime e degli altri oggetti accessori per la futura Pasqua di esibire a tutto il giorno cinque dell’imminente novembre in questa Segreteria comunale, ove resta depositato il relativo capitolato le schede firmate chiuse e sigillate esprimenti tanto in parole che in numeri i rispettivi prezzi e l’indicazione della Sicurtà solidale  per l’intera esecuzione del Contratto d’appalto onde prendere il tutto in considerazione. Si avverte  che assieme alle schede dovranno produrre le nostre belle distinte qualità si delle Azime bianche che dette brune

     

    In pratica chi vinceva l’appalto aveva il dovere di sfornare zimelle  perfette!! L’affitto partiva  dall’inizio dell’anno, durava quattro mesi e si concludeva ad aprile. Purtroppo, è bene ricordare, che non mancavano da parte cristiana dileggi, canzonature e scherni per rendere l’opera di chi si adoperava alla produzione delle zimelle e degli atri alimenti collegati alla Pasqua ebraica molto difficile. Voglio ricordare che già nel 1715 gli ebrei protestarono riguardo una recita teatrale in cui si derideva “il pane azzimo, et altri riti della detta Legge Mosaica, facendo comparire Moisé, e li Rabbini in figura di mezz’uomo, e mezzo porco”. Si chiedeva perciò, ma sempre vanamente, di proibire una volta per tutte di inscenare tali “teatri”.  A tale scopo con una notificazione del Vicariato del 1786 si richiese agli esecutori  di giustizia, in nome del Papa   di evitare insolenze ( anche da parte di ebrei) “usate da vari sfaccendati del Ghetto di Roma nel forno ove si lavorano le zimmelle, sapendo benissimo  che essi  si sono fatti lecito di maltrattare  tutti quelli che si ingeriscono in tale lavoro”.

     

    La confraternita Ghemilut Chasadim continuò a fornire appalti per zimelle fino a quando  si rifiutò di continuare a partecipare ad un ‘impresa che avrebbe portato troppe spese alla compagnia  e avrebbe compromesso  gli altri compiti principali vale a dire il soccorso medico ed il seppellimento dei morti. A Roma, dopo la demolizione del Ghetto e con l’inaugurazione del Tempio Maggiore nel 1904 la vita ebraica continuò in mezzo a molteplici difficoltà economiche e sociali, cercando di adeguarsi alle rapide trasformazioni richieste dai nuovi ritmi dell’emancipazione. Nei locali della Scola Catalana furono posti dei rudimentali macchinari che agevolarono il lavoro di fabbricazione delle azzime tradizionalmente nel passato affidato alla confraternita Ghemilut Chasadim.   Dunque con lo smantellamento dell’“area dei Giudei” anche le abitazioni furono in pochi anni abbattute e con esse il nome delle vie, nelle quali tanta intensità di vita ebraica si era svolta, tanti secolari dolori sofferti, tante fatiche  e desolazione… Molte di queste stradine, come  vicolo delle azimelle non se ne sente più parlare ed il loro ricordo si perde nella notte dei tempi; soltanto gli anziani della nostra  Comunità le ricordano ancora, malgrado tutto, con un nostalgico sentimento permeato dall’educazione religiosa conforme ai dettami della fede del popolo d’Israele.

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