
A Weimar, nel cuore della Germania, il suono della lingua yiddish è tornato a farsi sentire. Tra concerti, cabaret, spettacoli circensi e laboratori linguistici, il Festival internazionale dello Yiddish ha riunito migliaia di persone da tutto il mondo, segnando un nuovo capitolo per una lingua e una cultura che la storia aveva cercato di cancellare. L’iniziativa, ospitata nella città simbolo della cultura tedesca ma anche a pochi chilometri dal campo di concentramento di Buchenwald, ha voluto unire memoria e rinascita. Nei teatri e nelle piazze di Weimar, si sono alternati musicisti klezmer, artisti contemporanei e giovani studiosi che usano l’yiddish come strumento di identità e sperimentazione.
Prima della Seconda guerra mondiale, la lingua yiddish era parlata da oltre dieci milioni di persone. Oggi, secondo le stime, ne restano tra i 500 mila e il milione di parlanti, perlopiù all’interno delle comunità ultra-ortodosse. L’UNESCO la classifica come una lingua in pericolo, in Germania e in gran parte dell’Europa orientale e occidentale. Negli ultimi anni, tuttavia, il suo uso si è esteso anche al di fuori degli ambienti religiosi. In Germania, università, centri culturali e istituzioni pubbliche stanno sostenendo corsi, festival e progetti di ricerca per riportare l’yiddish nello spazio pubblico.
Gli organizzatori del festival hanno infatti sottolineato che l’obiettivo non è solo la conservazione linguistica, ma la costruzione di un dialogo tra passato e presente. “Non vogliamo che lo yiddish diventi una lingua-museo – hanno spiegato alla stampa locale – è una lingua viva, capace di parlare al mondo di oggi”. In un Paese che ha dovuto fare i conti con la distruzione della cultura ebraica europea, il ritorno della lingua yiddish assume un valore simbolico profondo. Per molti, rappresenta non solo la sopravvivenza di una lingua, ma la riaffermazione di una memoria collettiva che, nonostante tutto, continua a farsi sentire.














