
Durante l’attuale conflitto in Ucraina, il Centro Memoriale Babyn Yar ha reso noto di aver identificato più di mille vittime del massacro nazista del 29-30 settembre 1941, malgrado le difficoltà poste dalla guerra. Il riconoscimento dei nomi di queste vittime rappresenta non solo un avanzamento nella ricerca storica, ma anche un gesto di memoria nei confronti delle decine di migliaia di uomini, donne e bambini uccisi nell’eccidio, in particolare 301 vittime neonati, 5.363 bambini e adolescenti.
L’annuncio arriva in un momento di forte tensione, mentre il territorio ucraino è sotto assedio e le infrastrutture, compresi gli archivi storici, rischiano danni o distruzione. Il memoriale ha continuato il lavoro nonostante il panorama operativo ostile, in un contesto in cui garantire la conservazione dei documenti e delle prove è diventato sempre più difficile. Per gli storici che portano avanti queste ricerche, l’identificazione delle vittime è un modo per contrastare il revisionismo e la negazione, restituendo dignità individuale alle persone uccise e impedendo che diventino mere cifre senza volto.
Il sito di Babyn Yar, nei pressi della città di Kiev, è diventato simbolo della tragedia della Shoah in Europa orientale. Nelle due giornate tra il 29 e il 30 settembre 1941 oltre 33.700 ebrei furono massacrati nel cratere della gola (“yar”) di Babyn Yar. Nei mesi successivi e fino al 1943, i nazisti continuarono a usare Babyn Yar come luogo di esecuzioni, includendo vittime non solo ebree (Rom, prigionieri sovietici, civili ucraini). Prima della ritirata delle truppe tedesche, venne persino tentato un occultamento dei crimini, con salme dissotterrate e bruciate, azione guidata da Paul Blobel nell’ambito dell’“Aktion 1005”.
Nel contesto sovietico del dopoguerra, la memoria del massacro fu spesso depoliticizzata: i monumenti commemorativi non citavano esplicitamente la componente ebraica della tragedia, e il numero totale delle vittime veniva indicato in modo generico senza specificare le identità. L’identificazione in corso delle vittime acquista un valore simbolico straordinario. Restituire un nome a chi fu cancellato nelle fosche pagine della storia è un atto politico e morale: serve a sfidare chi nega, banalizza o distorce la memoria.
Ciononostante, le sfide sono immense: archivi danneggiati, ostacoli logistici, mancanza di risorse, difficoltà nell’analisi dei resti e nell’accesso alle fonti. Il fatto che si sia riusciti a identificare più di mille persone in queste condizioni è un risultato che attesta la tenacia del lavoro memoriale e la determinazione a non lasciare le vittime nell’oblio.