
A dieci anni dalla sua inaugurazione, il mini museo Mi Polin Mezuzah Center di Varsavia ha raggiunto il lusinghiero risultato di 165 tracce raccolte. Ma cosa rende così speciale e significativa questa collezione? A raccontarlo sono gli ideatori Helena Czernek e Alexander Prugar, entrambi polacchi, che hanno cominciato a viaggiare nelle località dell’Europa ashkenazita in cui esistevano importanti presenze ebraiche, cercando le impronte lasciate nel legno delle case ebraiche prima della seconda guerra mondiale.
“Mentre le mezuzoth contemporanee sporgono dagli stipiti delle porte – spiega Prugar – nella Polonia prebellica erano collocate in una scanalatura nel legno e coperte con una piastra metallica. Ogni singola traccia di mezuzah può essere considerata un’impronta digitale di chi l’ha realizzata 100 o 130 anni fa, è come una piccola particella di DNA ebraico polacco. Ci sono due fusi orari nella vita dei ricercatori di tracce di mezuzah – continua Prugar – il fuso orario presente e il fuso orario passato. Quando varchiamo le porte dei vecchi caseggiati, ci trasferiamo nel fuso orario passato, ci immergiamo nella loro storia, è un modo per ridar loro vita”. Le famiglie cui sono appartenute le mezuzoth nella stragrande maggioranza non erano note, non erano abbienti, non avevano tra i loro membri musicisti o scienziati o artisti, erano persone che sono state interamente inghiottite nel baratro della Shoah.

Prima di partire per una località, i due ricercatori studiano le vecchie carte topografiche, ricevono spesso qualche testimonianza da lontani parenti che vivono in Israele o negli Stati Uniti, sanno dove si trovavano gli Shtetl; dopo molte ore di viaggio, trovano talvolta case diroccate o abbandonate ed edifici pericolanti. Poiché molte aree della Polonia hanno iniziato a modernizzarsi, gli edifici prebellici stanno scomparendo e con essi le tracce di mezuzoth. In un paio di casi, sono giunti troppo tardi: hanno scoperto che l’edificio segnalato era stato demolito. Di tanto in tanto, si sono imbattuti in villaggi in cui gli edifici erano ancora intatti, ma ogni prova che gli ebrei vi siano vissuti è completamente scomparsa. “È difficile e triste – racconta Prugar – raggiungere una zona che era abitata dal 70 all’80% da ebrei e non riuscire a trovare nulla perché siamo arrivati troppo tardi”. Molte sono le storie che Czernek e Prugar possono condividere in proposito. È il caso di Łódź, dove si sono concentrate più volte le loro ricerche. La città, tra i maggiori centri industriali della Polonia, ospitava una delle più grandi comunità ebraiche d’Europa, composta da oltre 230.000 persone, circa il 31% della popolazione cittadina. Tra il 1939 e il 1945, durante l’occupazione, quasi tutti furono assassinati dai nazisti. Solo poco più di 10.000 ebrei sopravvissero fino alla fine della II guerra mondiale. A Lublino recentemente in un caseggiato in Via Casna, Czernek e Prugar, hanno scoperto un muro con segni di proiettili al posto delle mezuzoth: si sono chiesti se è stato il lungo in cui durante la guerra sono stati giustiziati gli ebrei e così è stato verosimilmente. Ma vi sono anche raggi di sole, storie di vite salvate che riemergono grazie al ritrovamento delle lettere ebraiche incise nel legno: non tutto è nell’oblio.
Foto: Mi Polin Mezuzah Center