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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Non ci fermeremo mai

    Il senso delle ricorrenze di Tish’à Beàv e Tu Beàv accostate tra loro nel calendario

    È scritto: Nel giorno in cui fu eretto il Santuario, una nube coprì la Dimora, dalla parte della tenda della Testimonianza; alla sera ci fu sulla Dimora come un’apparizione di fuoco fino alla mattina. Così avveniva sempre: la nube copriva il Santuario e di notte vi era l’aspetto del fuoco. Appena la nube si sollevava subito gli Israeliti si mettevano in cammino, e nel luogo dove la nube si posava, là gli Israeliti si accampavano (Nm. Cap. 15).
    Il Rebbe di Slònim, Shalom Noach Berezovsky (1911 – 2000), insegnava che la nube e il fuoco che coprivano il Santuario del deserto durante l’accampamento del popolo hanno un significato ben preciso che ci accompagnerà per sempre. È nel momento in cui Israele interrompe il proprio cammino verso la terra di Israele e il percorso per lo studio e i valori della Torà che la nostra vita sarà avvolta da nubi e fuoco che porteranno dolore e distruzione. Ma la forza del popolo ebraico sarà sempre quella di ricostruire la propria esistenza e di riprendere la strada per ricostruire la propria storia. Questo è il senso delle due ricorrenze di Tish’à Beàv e Tu Beàv accostate tra loro nel calendario ebraico.

    La nube e il fuoco del nove di Av
    La Mishnà nel cap. 4 di Ta’anìt elenca i cinque motivi che hanno indotto i Maestri a decretare un digiuno nel giorno del 9 di Av e un periodo di lutto a partire dal mese di Tamùz. Il 9 di Av al tempo di Moshè gli ebrei si rifiutarono di entrare in terra di Israele, scegliendo la comodità di abitare nel deserto e pertanto fu decretato dal cielo che parte degli ebrei usciti dall’Egitto non entrassero in terra di Israele e che ogni notte del 9 di Av per i successivi 40 anni quindicimila ebrei che si rifiutarono di entrare nel nostro Paese sarebbero morti. Durante i successivi quarant’anni perirono, quindi, quasi seicentomila persone. Il 9 di Av furono distrutti i due Santuari di Gerusalemme: il primo dai Babilonesi e il secondo dai Romani. Ancora, il 9 di Av, i romani conquistarono la città di Betàr mettendo a morte Bar Cokhbà e migliaia di suoi uomini senza seppellire i loro corpi, per essersi ribellati all’imperatore di Roma. Qualche anno dopo la fine di Betar, il 9 di Av la città di Gerusalemme fu interamente spianata dai romani come segno simbolico che la città non sarebbe più esistita.

    La colpa
    Vi è sempre una colpa umana insita in una punizione divina. Il rifiuto del popolo ebraico di entrare nella terra di Israele fu un chiaro segno della mancanza di fede nell’aiuto di Dio nei momenti di pericolo. Inoltre, come spiega Rashì in Deut. 11, 18, è in Èretz Israèl il vero obbligo di un comportamento consono ai dettami della Torà che avrebbe impegnato l’intero popolo e in caso di trasgressione avrebbe anche portato forti punizioni divine. Anche il primo Tempio fu distrutto per la mancanza di riguardo ai precetti della Torà che regolano il rapporto con il Creatore, mentre il secondo Tempio fu abbattuto a causa della carenza di rispetto tra le persone. La colpa di Bar Cokhbà secondo i Maestri del Talmùd fu la superbia trasmessa anche ai suoi soldati. Essi pensavano che solo il coraggio e la forza umana avrebbe portato la vittoria di Israele e non l’aiuto dal cielo. Infine Gerusalemme fu spianata perché il popolo ebraico non si pentì delle colpe commesse. Ma tutto questo convinse gli ebrei a ripartire, a ricostruire la propria identità e a correggere il proprio passato. Fu allora che la nube e il fuoco si scostarono dal popolo ebraico e la nostra storia fu ricostruita.

    Il quindici di Av usciamo dalla nuvola e dal fuoco
    Una settimana dopo il 9 di Av, il buio e la paura finiscono e torniamo alla nostra vera vita. Cinque sono i motivi per i quali festeggiamo il 15 di Av. La Ghemarà in Bavà Batrà (pagina 121a) spiega che in questa data gli ultimi ebrei che non vollero entrare in terra di Israele capirono di essere stati perdonati e non perirono grazie al loro pentimento. Essi furono i primi ad entrare con gioia in Èretz Israèl e tutto il popolo fu disposto a combattere per la conquista del Paese e pronto a rispettare tutti i dettami della Torà. Il 15 di Av fu decretato che ebrei di tribù diverse potessero sposarsi tra loro, cosa vietata nel passato, perché l’amore e la creazione di famiglie avrebbe creato il futuro del popolo. Ancora, il 15 di Av si stabilì che la tribù di Biniamìn, un tempo allontanata dal popolo per una serie di comportamenti immorali e violenti, potesse tornare a far parte del popolo di Israele. Il 15 di Av l’ultimo re di Israele Hoshea ben Elah rimosse dal Paese tutti i blocchi che il re Yarovàm aveva posto per non permettere agli ebrei di unirsi assieme nel Tempio di Gerusalemme. Gli ebrei, così, tornarono ad essere congiunti proprio all’interno del Santuario. Infine, il 15 di Av dopo la cacciata dei romani i corpi dei soldati di Bar Cokhbà a Betar furono ritrovati dopo anni ancora integri e non decomposti e poterono essere sepolti con onore. Il desiderio di entrare finalmente in terra di Israele, il rispetto dei precetti divini, l’importanza dell’unione all’interno del popolo ebraico e, come s’impara dai morti di Betar, la forza divina di cancellare a volte anche la natura e la materialità, è il vero contrasto ai peccati che portarono i lutti nel 9 di Av e permisero l’eterna costruzione di Israele.
    Il 15 Av ricordiamo che il nostro popolo, anche dopo un momento di buio e di paura, tornerà a procedere verso il suo futuro. Ciò accadrà sempre. Amèn ken Iehì Ratzòn.

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