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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Ki Tetzè: Quando si divorzia dalla moglie

    In questa parashà vi è la mitzvà di dare il ghet alla moglie quando per qualche motivo i due coniugi non possono più restare insieme: “Quando un uomo ha sposato una donna e ha convissuto con lei, se poi avviene che non gli piacerà più perché egli ha trovato in lei qualche cosa di indecente (‘ervàt davàr), scriva per lei un ghet e glielo consegni in mano e la mandi via dalla sua casa (Devarìm, 24:1).

    L’autore del Sefer ha-Chinùkh (Barcellona, XIII sec. E.V.) scrive che il divorzio va fatto con un documento scritto. Questo documento è denominato “ghet keritùt”, cioè un documento  che “taglia” totalmente il rapporto tra marito e moglie.

    La Mishnà nel trattato Ghittìn (9:10) riporta una disputa fra la scuola di Shammai e la scuola di Hillel su questo argomento. La scuola di Shammai sostiene che il marito non può dare il ghet alla moglie a meno che non abbia trovato in lei un comportamento immorale, perché  nella Torà è scritto “‘ervàt davàr” (una cosa indecente). La scuola di Hillel sostiene che il marito può dare il ghet alla moglie perfino se lei gli ha bruciato il pasto di proposito per offenderlo (Tiferet Israel).

    Vi è una terza opinione, quella di rabbì ‘Akivà che afferma che il marito può dare il ghet alla moglie anche se ha trovato una donna più bella perché nella Torà è scritto: “se poi avviene che non gli piacerà più”.

    Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 187) commenta che la Scuola di Shammai interpreta le parole “‘ervàt davàr” in senso letterale cioè di un comportamento adultero. Se il Bet Din non trova che vi era un comportamento del genere non vi è un motivo per il divorzio. Un qualsiasi altro comportamento da parte della moglie non giustifica la scissione del matrimonio.

    ‘Ovadià Bertinoro (Bertinoro, c.1450-c.1520, Gerusalemme) commenta che la Scuola di Hillel spiega che le parole ‘ervàt davàr significano che il marito può dare il ghet per un comportamento adultero da parte della moglie (‘ervà) oppure per un altra mancanza (davàr).

    Le opinioni delle scuole di Hillel e di Shammai sono facilmente comprensibili. Il marito può dare il ghetalla moglie se lei ha compiuto una grave mancanza nei suoi confronti. È invece assai difficile capire la motivazione di rabbì ‘Akivà che afferma che il marito può dare il ghet alla moglie anche se ha trovato una donna che gli piace di più.

    Rav Soloveitchik spiega che rabbì ‘Akivà cambia la semantica di ‘ervàt davàr e eleva il suo significato a un livello morale. La dissoluzione del matrimonio è permessa se il marito desidera un’altra donna. Questo desiderio di per se adultero, cancella la santità del matrimonio. Un desiderio peccaminoso e tradimento interiore del partner profana il vincolo del matrimonio, anche se agli occhi della società il matrimonio sembra essere perfetto e senza che vi sia alcun colpevole. In questo caso non è l’aspetto giuridico che invalida il sacro patto matrimoniale, ma è l’aspetto morale. Se il marito si è estraniato dalla moglie perché lei non lo attrae più e lui non ne desidera la compagnia, la dissoluzione del matrimonio è già iniziata. Il matrimonio è già stato profanato e il divorzio è una formalità che conclude un processo già iniziato da tempo.

    La Halakhà segue l’opinione della scuola di Hillel. Inoltre circa mille anni fa rabbenu Gershom (Metz, 960-1040, Mainz) denominato Meor ha-Golà (luce della Diaspora) oltre a proibire la poligamia, decretò che il marito non possa dare il ghet alla moglie senza il di lei consenso.

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