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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Mishpatìm: Non gettare le bucce di banana sul marciapiede

    La parashà inizia con le parole “E queste sono le leggi che dovrai presentare agli israeliti” (Shemòt, 21:1).

    Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta che la parola “e” collega la parashà precedente dove vi sono i Dieci Comandamenti, con quello che segue, per insegnare che anche le leggi in questa parashà furono date a Moshè al Monte Sinai.

    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 186) commenta che dopo i Dieci Comandamenti il testo successivo avrebbe dovuto essere quello al capitolo 24, dove l’Eterno dice a Moshè di fare il patto con il popolo. La parashà di Mishpatìmrappresenta invece una distacco da questi argomenti. Invece di continuare con la rivelazione, il testo introduce l’argomento dei danni, che fanno parte delle leggi civili. Per quale motivo la Torà presenta a questo punto l’argomento degli impegni finanziari? Per quale motivo è importante trattare gli argomenti di colui che da’ beni in custodia al prossimo, delle acquisizioni, delle cambiali? Questi argomenti di carattere commerciale apparentemente non appartengono a un codice morale. Il fatto che siano presentate proprio qui significa che la legge civile ha un significato religioso. La distruzione della proprietà e la violazione di domicilio non sono semplicemente violazioni delle legge civile ma anche trasgressioni morali.

    R. Ya’akov Kuli (m. Costantinopoli, 1732) autore dell’opera Me’am Lo’ez, commenta, che è importante sapere che uno dei principi dell’ebraismo è di stare attenti a non causare danni al prossimo (p. 728). Uno dei casi che egli cita, dall’opera halakhica Kenèsset Hagedolà (n.90)  di r. Chayim Benveniste (Costantinopoli, 1603-1673, Smirne) , è quello di una persona che viene posta di fronte a un dilemma: mostraci dove è il tesoro del tuo vicino, o dacci tutto quello che hai, oppure ti uccidiamo. Se la vittima rivela dove è tesoro del vicino, è responsabile della perdita causata al vicino, perché  poteva salvare la propria vita dando tutto quello che aveva. E se fosse stato minacciato di morte se non avesse mostrato dove era il tesoro del vicino, e ha salvato la propria vita rivelando dove è il tesoro del vicino, è ugualmente responsabile perché chi salva la propria vita con quello che appartiene al prossimo è obbligato a pagare il danno causato anche se ha agito così per pikùach nèfesh (pericolo di vita).

    Un altro caso citato in Me’am Lo’ez tratto dal Tur Chòshen Mishpàt (409 e 412) di r. Ya’akov ben Asher (1269, Colonia-Toledo, 1343) è quello di chi getta acqua per la strada e un passante scivola e si fa male. Il danno causato va risarcito. Questo deriva da quello che è scritto nella Torà che chi scava una fossa nel dominio pubblico è responsabile dei danni causati (Shemòt, 21:33). E chi trova del vetro deve buttarlo in un posto sicuro dove non potrà causare danni ad altri. Così pure chi butta l’immondizia nel dominio pubblico è responsabile dei danni causati, specialmente se butta bucce di angurie e di meloni. Questi sono alcuni esempi della mitzvà della Torà di non causare danni al prossimo. Le bucce di banana non sono citate da questi posekìm, perché arrivarono in Europa molto più tardi.

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