
La parashà inizia con queste parole: “Questi sono gli eventi della vita di Noach. Noach era un uomo tzaddìk (giusto) etamìm” (Bereshìt, 6:9). Cosa significa tamìm?
Meir Leibush Wisser detto Malbim (Ucraina, 1809-1879) in Sefer Ha-Karmel scrive che tamìm indica una persona le cui azioni vengono fatte con temimùt, cioè senza nessun motivo ulteriore e interesse personale.
Eli’ezer Ashkenazi (Italia?, 1513-1586, Cracovia) che fu rav a Cremona, in Ma’asè Hashem, scrive che il fatto che Noach venisse descritto come uomo tzaddìk e tamìm era il motivo per il quale nella Torà è scritto che “Noach aveva trovato grazia agli occhi del Signore”. E per questo motivo meritava di essere salvato dal Diluvio. Tuttavia il fatto di essere tamìm “nelle sue generazioni” significa anche che non redarguiva i malvagi. Il Signore avrebbe potuto salvare Noach in tanti altri modi. Per quale motivo fece fare a Noach la lunga e ardua fatica di costruire un’arca, la cui costruzione richiese ben centoventi anni? Per poter redarguire i malvagi. Mentre Noach costruiva l’arca e gliene chiedevano il motivo, Noach rispondeva che il Santo Benedetto avrebbe fatto venire il diluvio. Da ciò si impara che se non gli avessero posto la domanda, Noach non avrebbe detto loro nulla. E infatti quando il Signore disse a Noach di costruire l’arca aggiunse “perché ho visto che tu sei giusto” senza dire anche tamìm. Il fatto che Noach fosse giusto era il solo motivo per cui meritava di essere salvato.
Ashkenazi aggiunge che è possibile che la parola tamìm indichi la fede nel Signore. Questo lo impariamo dal versetto in Devarìm (18:13) nel quale è scritto di essere “tamìm con il Signore tuo Dio”. La fede in Dio di Noach derivava da quello che gli era stato insegnato dal bisnonno Chanoch. Per questo è scritto che Noach era tamìm. La sua fede era semplice, ricevuta per tradizione e non tramite la ricerca dell’assoluto.
A differenza di Noach, Avraham era cresciuto in una famiglia di idolatri e arrivò alla conoscenza dell’esistenza di Dio tramite profonda analisi e ricerca.
Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, IL Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt ‘Avodàt Kokhavìm, 1:3) scrive che Avraham giunse alla conoscenza di Dio tramite analisi filosofica. All’età di quaranta’anni, avendo perfezionato la sua conoscenza, iniziò a discutere in pubblico con gli abitanti di Ur Kasdim dicendo loro che non stavano seguendo la giusta via. Distrusse i loro idoli e iniziò a insegnare alla gente che è giusto servire solo il Dio del mondo. Quando li vinse con la forza delle sue argomentazioni, il re cercò di ucciderlo. Fu salvato per miracolo e partì per Charan. Lì cominciò a chiamare a gran voce il popolo e a insegnare che c’è un solo Dio in tutto il mondo. Così faceva di città in città finché giunse alla terra di Canaan, proclamando l’esistenza di Dio, come è scritto (Bereshìt, 21:33): “E lì invocò il nome del Signore, il Dio eterno”. Quando il popolo si radunava attorno a lui e chiedeva spiegazioni sulle sue affermazioni, egli le spiegava a ciascuno di loro secondo la loro comprensione, finché non si convertirono alla via della verità. E così migliaia e miriadi di persone si radunarono attorno a lui.
Ashkenazi conclude che la fede in Dio di Noach non derivava da dimostrazioni filosofiche. Per questo i maestri insegnano (nel Midràsh Bereshìt Rabbà, 30:10) che Noach aveva bisogno di supporto, mentre Avraham non ne aveva bisogno. Inoltre è anche possibile che Noach non avesse redarguito le persone della sua generazione perché la sua fede in Dio non derivava da speculazioni filosofiche e pertanto non era in grado di dimostrare gli errori degli idolatri, come invece faceva Avraham.












