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    «La dimensione partecipativa è il motore d’Israele» – La testimonianza di Miky dalla scena dell’attentato a Tel Aviv  

    I giovani riempivano le strade, i locali, i tavoli all’aperto, come ogni giovedì sera a Tel Aviv. La prossima settimana è Pesach, il caldo è arrivato, e c’è quella sensazione di una festa che sta per arrivare. Poi gli spari, il panico, i feriti, i morti, la fuga dell’assassino. Tutto in una rapidissima sequenza, che gli israeliani conoscono bene. I recenti attentati di Hadera, Beersheva e Bnei Brack avevano già riportato gli israeliani nell’incubo degli attentati terroristici e in uno stato d’allerta che le forze di sicurezza stanno tenendo alto in questo periodo, che coincide con il mese del ramadan.

     

    Ecco che anche nelle ore più concitate nella notte di Tel Aviv sopraggiunge lo shock, la preoccupazione per i feriti, il dolore per le vittime uccise, il fiato sospeso durante la caccia all’uomo. «Io abito vicino a Kikar Rabin, quando ho sentito passare la quinta ambulanza ho capito che stava accadendo qualcosa» ci racconta Miky, israeliano di origine italiana, cresciuto a Roma, che ha fatto l’Alyah nel 2013.

     

    Miky è volontario in un’unità operativa della polizia «sono uno dei tantissimi israeliani che si rimbocca le maniche per i propri fratelli, ci tengo a precisarlo» sottolinea. Ieri sera, al suono delle sirene, Miky ha chiamato la sua ufficiale di riferimento per chiederle se poteva essere d’aiuto: «mi ha risposto subito di si. Ci ha chiesto di presentarci a servizio immediato. Sono corso con la macchina in caserma. Quando sono arrivato ho trovato tanti colleghi che come me sono giunti ad aiutare. Sapevamo che della caccia all’uomo in corso, e siamo stati chiamati per contribuire».

     

    «Quando sono uscito di casa le mie figlie piangevano chiedendomi di non andare. Gli ho spiegato che se i genitori israeliani ascoltassero le richieste dei figli di non andare non ci sarebbe Israele. E loro hanno capito». Dal comando di polizia Miky è partito con la sua macchina, con a bordo quattro soldati di fanteria, verso Dizengoff Street. «Nel tragitto, malgrado io fossi con la mia macchina, una comune auto di un cittadino, tutti ci hanno fatto passare, perché in questi momenti c’è mobilitazione, partecipazione dei civili. In queste situazione tutti corrono a supporto».

     

    Arrivati a Dizengoff Miky e i soldati trovano tante persone in strada, tra forze di sicurezza e civili giunti a prestare aiuto. «I paramedici stavano ancora curando i feriti leggeri, che volevano davano testimonianza, gli uomini delle forze di sicurezza cercavano le telecamere per individuare il terrorista, i poliziotti con i cani controllavano ogni angolo per vedere se ci fossero ordigni inesplosi. Poi sono arrivati i rappresentanti di Zaka che hanno il difficile compito recuperare il sangue delle persone uccise per la sepoltura. I civili si mettevano a disposizione, i proprietari dei locali offrivano un rifugio, visto il pericolo del terrorista a piede libero, o supporto e conforto alla gente sotto shock».

     

    E mentre le forze di sicurezza e lo Shin Bet davano la caccia all’assassino nelle case e in ogni angolo della città, per trovarlo poi nelle prime ore del mattino nei pressi di una moschea di Giaffa, gli israeliani si sono uniti di nuovo per affrontare questo terribile momento, perché l’unità e la partecipazione sono il motore dello Stato d’Israele, come spiega Miky: «mentre aiutavamo nella caccia all’uomo le persone si affacciavano dalle finestre per darci sostegno, ci dicevano Kol Hakavod e ci incoraggiavano. La dimensione partecipativa in Israele è straordinaria, quando succede qualcosa tutti prendono servizio, ognuno a suo modo».

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