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    ISRAELE

    Annunciato il cessate il fuoco tra Israele e Iran

    Gli ultimi colpi e poi la tregua
    La “guerra dei dodici giorni” fra Israele e Iran si è conclusa (o almeno sospesa) stamattina, dopo un ultimo scambio di colpi molto doloroso per Israele, con quattro morti in un impatto missilistico diretto su Beer Sheva, che ha provocato anche molti altri danni nella città, fra cui anche il centro di Tsad Kadima, l’associazione che tratta bambini colpiti da problemi neurologici. È una fine improvvisa, un po’ precoce rispetto alle aspettative: ieri molti autorevoli commentatori sostenevano che l’azione israeliana di smantellamento del nucleare e della forza del regime degli ayatollah sarebbe durata fino al prossimo weekend. Ma è chiaro che Israele è il vincitore, come spiega un comunicato del gabinetto israeliano che ha approvato la tregua.

    Il comunicato del governo israeliano
    “Ieri sera, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha riunito il Consiglio dei Ministri per riferire che Israele ha raggiunto tutti gli obiettivi dell’Operazione “Am K’Lavi”. Israele ha eliminato immediatamente una doppia minaccia esistenziale, sia nel campo nucleare che in quello dei missili balistici. Inoltre, le IDF hanno ottenuto la piena superiorità aerea su Teheran, inferto un duro colpo alla leadership militare e distrutto decine di obiettivi chiave del governo iraniano. Anche nelle ultime 24 ore, le IDF hanno colpito duramente obiettivi governativi nel cuore di Teheran, eliminato centinaia di agenti Basij – il meccanismo di repressione del regime – e ucciso un altro importante scienziato nucleare. Israele ringrazia il Presidente Trump e gli Stati Uniti per il loro sostegno alla difesa e per la loro partecipazione all’eliminazione della minaccia nucleare iraniana. Alla luce dei risultati dell’operazione, e in pieno coordinamento con il Presidente Trump, Israele ha accettato la proposta del Presidente per un cessate il fuoco bilaterale. Israele risponderà con forza a qualsiasi violazione del cessate il fuoco”.

    La comunicazione di Trump
    In precedenza il presidente Trump aveva annunciato il cessate il fuoco con un tweet dal tono trionfante e fortemente religioso: “Congratulazioni a tutti! Tra Israele e Iran è stato concordato un cessate il fuoco completo e assoluto, che entrerà in vigore tra circa sei ore, una volta completate le ultime missioni attualmente in corso. Supponendo che tutto vada secondo i piani – e così sarà – elogio entrambi i Paesi, Israele e Iran, per il coraggio, la saggezza e la resilienza dimostrati nella scelta di porre fine alla guerra – una guerra che avrebbe potuto durare anni e devastare il Medio Oriente, ma non l’ha fatto – e non lo farà mai! Dio benedica Israele, Dio benedica l’Iran, Dio benedica il Medio Oriente, Dio benedica gli Stati Uniti d’America, E Dio benedica il mondo!”.

    La scelta del presidente americano
    È chiaro che questa tregua, o addirittura la fine delle ostilità, è una scelta di Trump, non di Israele, né tanto meno dell’Iran. Per Israele è stato una di quelle proposte cui non è proprio possibile dire di no. Ed è probabile che i suoi termini facessero già parte dell’accordo iniziale fra Netanyahu e il presidente americano. Israele aveva bisogno dei bombardieri pesanti americani per distruggere i centri nucleari di Fordow e Natanz, ha ottenuto il consenso ad agire per un certo periodo liberamente con la propria aviazione sullo spazio aereo iraniano e per eliminare buona parte delle minacce principali, ha anche ottenuto i bombardamenti necessari sugli impianti atomici iraniani, ma in cambio di una successiva cessazione delle ostilità. Trump ha perfino consentito all’Iran, dopo la distruzione di Fordow, una mossa di reazione propagandistica, cioè di bombardare la base americana in Qatar preventivamente sgomberata, senza reazioni da parte Usa, perché evidentemente c’era stato un qualche accordo in questo senso, probabilmente mediata dall’Oman o dal Qatar.

    Una tregua senza accordi precisi
    Resta il problema di un cessate il fuoco secco, senza alcuna decisione sul seguito. Il regime clerico-fascista e imperialista degli ayatollah resta al potere, anche perché in questi dodici giorni non si è manifestata l’opposizione, né quella civile dei giovani e delle donne di Teheran, né quella dei nazionalismi delle minoranze curde e beluci, né infine quella monarchica se non con una conferenza stampa del principe Reza Palhavi. Non vi sono accordi noti sul disarmo dell’Iran, sulla proibizione di ricominciare il processo di preparazione dell’armamento atomico e neppure sulla sorte dell’uranio arricchito, che è la base esplosiva della Bomba, che l’Iran aveva fabbricato in quantità cospicua (600 kg arricchiti al 60%, sufficienti per una decina di proiettili nucleari), di cui non si conosce la sorte. Forse sono stati asportati da Fordow in quel convoglio di camion di cui si sono viste le foto satellitari, forse sono sepolti sotto le macerie delle basi. Né c’è un patto per impedire all’Iran di tentare la sua aggressione a Israele. Vige solo la proibizione di atti aggressivi diretti, e bisogna vedere se reggerà davvero. Ancora stamattina, dopo l’inizia della tregua, c’è stato un lancio di due missili iraniani su Israele, cui è seguita una reazione israeliana: solo fra qualche tempo si capirà che cosa sta succedendo davvero, se sono schermaglie o se c’è una divisione nel regime iraniano con una fazione estremista che non accetta la tregua.

    Una soluzione parziale, che sancisce una grande vittoria
    Ma quel che è prevalso è la volontà di Trump di presentarsi come uno statista capace non di iniziare ma di concludere le guerre e di tener conto di tutti gli interessi in gioco. Il bombardamento di Fordow si presenta come un’azione di emergenza, per evitare il rischio atomico degli ayatollah, non come una presa di posizione bellica. È possibile pensare che su questa base l’amministrazione Trump possa anche imporre nel futuro prossimo un cessate il fuoco a Gaza. La tregua è certamente una scelta che farà crescere la popolarità interna e internazionale del presidente, anche se non coincide pienamente con il bisogno di sicurezza di Israele. Come diversi commentatori e politici hanno osservato in Israele, non è detto che questa imposizione della pace senza accordi precisi tenga a medio termine. La fiducia non viene tanto dalla garanzia americana, ma dalla forza dei combattenti e dalla lucidità della politica israeliana. E però, se si considera come Israele era solo e circondato da nemici dopo il 7 ottobre e si guarda ora alla situazione (i capi di Hamas eliminati e l’organizzazione drammaticamente indebolita; Hezbollah quasi smantellata, la Siria sotto un regime anti-sciita, l’Iran fortemente ferito sul piano politico e militare, quanto meno rimandato indietro di un decennio nel progetto nucleare) è evidente che è giusta la conclusione del comunicato del governo israeliano: “Questo è un enorme successo per il popolo di Israele e per i suoi combattenti, che hanno eliminato due minacce esistenziali per il nostro Paese e garantito l’eternità di Israele”.

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