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    ISRAELE

    Cosa bisogna sapere dell’attacco israeliano a Damasco

    Il bombardamento di Damasco
    Come i giornali hanno ampiamente riportato anche in Italia, lunedì aerei israeliani hanno effettuato un bombardamento di precisione sul quartiere diplomatico di Damasco, colpendo una dependance dell’ambasciata iraniana senza toccare né l’edificio principale, né la rappresentanza canadese che erano distanti pochi metri. La casa colpita era usata come quartier generale delle “guardie rivoluzionarie” (pasdaran) dell’Iran, cioè la milizia privata del regime degli ayatollah, usata al posto dell’esercito regolare per le operazioni sporche, fra cui i rifornimenti e la direzione militare di satelliti iraniani come Hamas, Hezbollah, Houti. Al momento dell’attacco nella sede dei pasdaran era in corso una riunione al massimo livello fra rappresentanti iraniani e siriani, che probabilmente serviva a dare disposizioni a questi ultimi per la guerra di usura che essi pure conducono contro Israele. L’attacco, che questa volta non è affatto esagerato definire chirurgico, ha eliminato tutti coloro che vi partecipavano, fra cui il generale responsabile del collegamento con i terroristi anti-israeliani, Mohamad Reza Zahedi, l’ufficiale iraniano più alto in grado ucciso nel corso di questa guerra, il suo vice e altri cinque capi dei pasdaran.

    Le reazioni

    L’Iran ha reagito con furia all’attacco, promettendo vendetta e sostenendo che Israele avesse violato la neutralità diplomatica, il che è insensato non solo alla luce dei precedenti iraniani (invasione e sequestro dell’ambasciata americana a Teheran, attentato all’ambasciata israeliana di Buenos Aires) ma soprattutto per il fatto che si trattava di una riunione militare fra ufficiali di eserciti ufficialmente in guerra con Israele. Non sono mancate però le solite reazioni convulse degli stati schierati contro Israele e una dichiarazione americana in cui si sosteneva che gli Usa non avevano alcun legame con l’episodio, il che si capisce bene alla luce della politica di tutte le amministrazioni democratiche recenti e anche di Biden orientate a una “relazione positiva” con gli ayatollah, anche se questi armano i terroristi che bombardano le sedi americane in Medio Oriente, continuano a costruire un armamento atomico in violazione delle regole internazionali e proclamano continuamente il loro odio per gli Usa, il “Grande Satana”. Ma tutto sommato non vi è stato lo scandalo che gli ayatollah cercavano di costruire, anche perché l’episodio è stato messo in ombra dall’incidente in cui l’esercito israeliano ha colpito per errore alcuni volontari internazionali a Gaza.

    Il quadro strategico
    Il conflitto d’attrito che Israele sostiene al Nord contro Hezbollah, siriani e altri alleati minori dell’Iran si va approfondendo ed estendendo. Israele ormai colpisce le concentrazioni militari e i depositi di armi di Hezbollah in tutto il Libano e in Siria fino ad Aleppo, a diverse centinaia di chilometri dal confine. La ragione è che le guerre moderne sono decise in buona parte dalla logistica delle armi e dei combattenti e che non sono combattute più solo in prima linea ma per tutta la profondità strategica dell’apparato che le alimenta. Ma soprattutto è chiaro a tutti oggi che Israele non sta combattendo semplicemente contro Hamas, che è un’entità solo parzialmente autonoma; e neppure contro “i palestinesi”, che non sono davvero in senso proprio un popolo né uno stato; tanto meno contro chi cerca di colpire lo stato ebraico “per solidarietà”, come Hezbollah, gli Houti, i terroristi iracheni.

    La guerra con l’Iran

    Il vero nemico di Israele è l’Iran, che combatte per mezzo dei suoi dipendenti arabi una guerra per procura; un po’ come già negli anni Sessanta l’Egitto di Nasser usava i “fedayn” come si chiamavano allora i terroristi, per colpire Israele senza sparare direttamente. Anche l’Iran dice oggi di non voler essere direttamente coinvolto nella battaglia, per evitare l’attacco israeliano che potrebbe distruggere il suo apparato nucleare ma anche perché non se lo può permettere, vista la diffusione del dissenso interno. Invece usa i suoi militari come “consiglieri”, distribuendo le sue armi, le informazioni di cui dispone, i denari che sottrae agli usi civili per far combattere al suo posto Hamas, Hezbollah e gli altri come mercenari. È questa distribuzione di risorse belliche che Israele ha cercato di bloccare il più possibile per molti anni, in quella che è stata definita “battaglia fra le guerre”; ora che la guerra aperta è scoppiata, il compito è ancora più urgente. Israele ha bisogno di annullare definitivamente Hamas, ma anche di tagliare le unghie a Hezbollah e per farlo deve innanzitutto bloccare i rifornimenti e i collegamenti che vengono dall’Iran. La guerra insomma è fra Israele e Iran e i capi dei pasdaran che la dirigono sono obiettivi importanti. Non bisogna pensare che queste siano “provocazioni” cui Teheran potrebbe reagire. La guerra è già lì e l’Iran fa già quel che può e che gli conviene per distruggere lo stato ebraico. Se Israele riuscirà e vincere la guerra che l’Iran gli sta portando per procura, lo stesso regime degli ayatollah sarà fortemente ridimensionato. Questa è la ragione per cui gli stati arabi sunniti più importanti per la prima volta non si oppongono se non a parola all’azione di Israele e la resistenza iraniana la appoggia.

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