
Due anni dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, Israele continua a vivere con l’angoscia per la sorte dei rapiti ancora nelle mani dei terroristi. Secondo l’Ufficio del Primo Ministro israeliano, sono 48 persone ancora ostaggi a Gaza, tra vivi e morti. Di questi, 20 sarebbero ancora in vita, mentre Israele ha confermato che 26 risultano morti. Ancora non è chiara la sorte di due rapiti. Dietro ai nomi di questi israeliani di cui Israele attende il ritorno a casa, vi sono storie di giovani, padri, madri e soldati, divenuti simbolo di una nazione che non ha mai smesso di sperare.
Ci sono Gali e Ziv Berman, gemelli di 28 anni rapiti insieme, e Matan Angriest, militare israeliano la cui madre continua a diffondere appelli affinché “resista per tutta la nazione che lo aspetta”. Elkana Bohbot, padre di famiglia, sequestrato mentre soccorreva feriti al festival Nova; come lui, anche Rom Braslavsky, guardia di sicurezza, rimasta sul posto per aiutare gli altri. Tra i più giovani figurano Nimrod Cohen, rapito da minorenne, e Tamir Nimrod, diciottenne, sequestrato senza scarpe e senza occhiali. Altri ostaggi, come Omri Miran lasciano dietro di sé mogli e figli in attesa di un ritorno che non arriva. Ci sono poi Bipin Joshi, studente nepalese in un kibbutz, e Maxim Herkin, russo-israeliano, padre di una bambina piccola. Molti di loro sono stati visti in video diffusi da Hamas: volti pallidi, corpi dimagriti, sguardi che hanno commosso il mondo. Tra questi Evyatar David, Guy Gilboa-Dalal e Alon Ohel, il cui sorriso – apparso per un istante in una clip di propaganda – ha spezzato il cuore dei familiari.
Israele ha continuato, in questi mesi, a cercare ogni via diplomatica e militare per riportare a casa i suoi cittadini. Nel frattempo, i 26 ostaggi accertati come morti — tra cui Itay Chen, Inbar Hayman, Lior Rudaeff, Arie Zalmanowicz — sono diventati simboli dolorosi di una tragedia che segna la memoria collettiva del Paese. Per i venti che si ritiene siano ancora vivi, la speranza resta l’unico appiglio. Famiglie, amici e volontari si sono riuniti settimanalmente nelle piazze di Tel Aviv, accendendo candele e gridando gli stessi nomi. Perché, come scrive ABC News, “la guerra è continuata, ma per Israele la priorità resta la stessa: riportarli tutti a casa”.
Nelle ultime ore, quella speranza ha guadagnato un cruciale e fragile appello concreto: Israele e Hamas avrebbero raggiunto un’intesa sulla “prima fase” di un piano di pace proposto dagli Stati Uniti e spesso identificato come “piano Trump”. Il primo passo concreto sarà il rilascio simultaneo di 20 ostaggi israeliani vivi, previsto tra sabato e domenica, accompagnato dalla restituzione di alcuni corpi di ostaggi morti. Gli altri verranno consegnati in fasi successive, secondo tempi stabiliti nell’accordo. L’entità dell’accordo – già definita “storica” da alcuni osservatori – potrebbe permettere alle famiglie di riabbracciare finalmente i propri cari dopo due anni di duro conflitto.