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    Il difficile momento del controllo del territorio

    I caduti di
    Israele aumentano

    È un momento non facile per i combattenti
    dell’esercito israeliano. Nelle battaglie di venerdì sono caduti sedici
    militari, circa venticinque negli ultimi tre giorni, 152 dall’inizio dei combattimenti.
    Ciò non significa che le forze armate di Israele non stiano vincendo. Non c’è
    stata una singola occasione durante questa guerra in cui Hamas sia riuscito a
    respingerle o a riconquistare terreno da loro conquistato. Secondo il Capo
    della Divisione Strategia dello Stato Maggiore, generale Eliezer Toledano,
    7.824 miliziani terroristi sono stati eliminati durante la guerra, oltre
    probabilmente ad altri 2000 nel territorio israeliano immediatamente dopo la
    strage del 7 ottobre. Nel corso delle operazioni terrestri i militari
    israeliani hanno sequestrato e distrutto a Gaza “circa 30 mila ordigni,
    razzi anticarro e altri razzi” di Hamas, come ha affermato il portavoce
    militare israeliano Daniel Hagari. 

     

    Una guerra
    senza precedenti

    Ma l’occupazione del territorio nemico e la
    ripulitura delle roccaforte terroriste, in superficie e soprattutto
    sotterranee, è molto più rischiosa e difficile della conquista e dell’azione
    preliminare dell’aviazione. Non c’è mai stata una guerra di questo tipo, essa
    non può essere paragonata né alle azioni di controguerriglia dell’Estremo
    Oriente e del Sudamerica e nemmeno alle grandi battaglie urbane della Seconda
    guerra mondiale, come l’assedio di Stalingrado o a quella di Falluja durante la
    seconda guerra del Golfo, in cui le forze corazzate non avevano freni
    nell’abbattere i centri nemici. È una guerriglia urbana feroce e minuziosamente
    preparata, in cui tutto il territorio è stato trasformato con mezzi imponenti
    in una gigantesca fortezza, proprio in previsione di una battaglia come questa.
    I soldati devono spesso procedere a piedi in un terreno pieno di case e di
    macerie, costellato da pozzi di accesso alle gallerie sotterranee, da cui
    spuntano terroristi isolati o in piccoli gruppi,  che non portano mai divise e non mostrano le
    armi, fingendosi civili, fino al momento in cui possono cogliere alle spalle i
    soldati e cercare di colpirli a tradimento.

     

    Il discorso di
    Netanyahu

    Che la situazione si a delicata, che vi sia un
    rischio di stanchezza e scoraggiamento per queste perdite e per la situazione
    dei rapiti, è confermata dal fatto che vi sono stati ieri due importanti
    discorsi alla nazione, convergenti nei toni e nei contenuti. Uno è stato fatto
    dal Presidente Herzog, che ha fatto appello alla resistenza della nazione, alla
    sua unità e all’appoggio di tutto il paese all’opera delle forze armate e dei
    servizi di informazione. Più politico e impegnativo quello del primo ministro
    Netanyahu, com’è  nel carattere della sua
    carica: “Stiamo approfondendo la guerra nella Striscia di Gaza.
    Continueremo a lottare fino alla completa vittoria su Hamas. Questo è l’unico
    modo per restituire i nostri rapiti, eliminare Hamas e garantire che Gaza non
    rappresenti più una minaccia per Israele. Ci vorrà tempo, ma siamo uniti: i
    combattenti, il popolo e il governo. Siamo uniti e determinati a lottare fino
    alla fine. La guerra ha un prezzo, un prezzo molto alto nella vita dei nostri
    eroici guerrieri, e noi facciamo di tutto per preservare la loro vita. Ma una
    cosa non sarà fatta: non ci fermeremo finché non otterremo la vittoria.” Non è
    solo un discorso di incoraggiamento, è un impegno politico, che si ripercuote
    nei rapporti con il principale alleato di Israele, gli Stati Uniti. Netanyahu e
    Biden si sono di nuovo parlati nei giorni scorsi e la decisione di Israele è
    stata ribadita al Presidente americano. In un’intervista immediatamente
    successiva, Biden ha dichiarato di non aver chiesto a Netanyahu di sospendere i
    combattimenti: la presa d’atto di una decisione che smentisce tutte le voci su
    nuove trattative di tregua.

     

     

    Gli obiettivi
    attuali

    Molte delle missioni effettuate negli ultimi giorni
    sono tentativi di raggiungere i capi di Hamas, che si ritiene siano nascosti a
    Khan Yunis; o almeno di circondarli e impedire loro di fuggire. La maggior
    parte degli scontri del fine settimana hanno avuto luogo in questa zona, a una
    decina di chilometri dal confine egiziano e a metà strada fra il mare e la
    frontiera con Israele, che ora è il punto focale della guerra. Sei brigate stanno
    attualmente operando nell’area  sotto un
    comando unificato di divisione, ma è possibile che l’esercito possa portare in
    combattimento ulteriori forze nei prossimi giorni. Secondo quanto affermano le
    fonti militari, la sfida operativa in questa zona richiederà almeno un altro
    mese di combattimenti per riuscire a danneggiare in modo definitivo le gallerie
    fortificate di Hamas. Come nel nord della Striscia di Gaza e nella città di
    Gaza,  questa rete di tunnel di Hamas, da
    cui emergono i terroristi per tentare di attaccare i soldati e da dove si
    sparano anche i razzi che continuano a mirare la popolazione civile israeliana,
    pone la sfida operativa più complessa per i militari. Un’altra sfida sta negli
    sforzi per recuperare i rapiti e ottenere informazioni sul loro luogo di
    detenzione. Purtroppo per ora Israele riesce solo a recuperare le salme dei
    rapiti che sono stati assassinati da Hamas, com’è successo ieri per sei di loro
    a  Jabalia. Per entrambi gli obiettivi
    Israele ha promesso grandi ricompense in denaro, ma finora senza successo.

     

    Ancora scontri
    a Gaza City

    Oltre allo sforzo principale a Khan Yunis, un’altra
    divisione israeliana è entrata in combattimento nell’ultima roccaforte nel nord
    della Striscia, Daraj, il quartiere nordoccidentale di Gaza City dove opera
    ancora un battaglione di Hamas. Un’altra area in cui si sono verificati diversi
    eventi operativi durante il fine settimana è quella in cui opera la Divisione
    99, che ora è responsabile del corridoio logistico che taglia in due la
    Striscia,  nella parte meridionale della
    città di Gaza. Negli ultimi giorni la divisione ha operato in nuove aree a sud
    di Gaza City, verso i campi profughi di Nusirat e al-Ma’azi. Oltre ai
    combattimenti a Khan Yunis, sembra che le forze armate israeliane considerino i
    campi profughi nella Striscia centrale come obiettivo principale in questa
    fase, perché vi hanno sede imponenti istallazioni di Hamas, che vanno ancora
    bonificate e distrutte.

     

    La prossima
    fase

    Gli ambienti militari stimano che l’attuale fase
    della guerra finirà probabilmente tra metà gennaio e la fine del mese. Israele
    dovrebbe passare allora a una fase meno intensa dei combattimenti a Gaza,
    secondo un’impostazione strategica in cui meno forze opereranno sul terreno,
    impegnandosi in raid verso obiettivi definiti o altre operazioni mirate. Ma a
    questo punto sarà il momento in cui l’attenzione potrebbe passare al fronte
    settentrionale. Se gli scambi a fuoco continueranno anche in questa fase e non
    vi sarà alcuna ritirata dei terroristi a nord del fiume Litani, le possibilità
    di una guerra con Hezbollah aumenteranno notevolmente.

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